Il pamphlet di Nadia Somma e Luca Martini intende scardinare gli stereotipi nella narrazione dei fatti di cronaca, denunciandone la pericolosità e fornendo delle buone prassi.
“Finché si useranno le parole “raptus” e “gelosia” per spiegare questi crimini, non si farà altro che una restituzione frammentaria del fenomeno, appiattendo le varie situazioni in eventi scollegati tra di loro, mentre rispecchiano tutte una dimensione di potere e controllo, che il mondo maschile esercita storicamente su quello femminile”.
Luca Martini , intervenuto alla libreria Feltrinelli di via Etnea a Catania, per presentare il libro edito da PresentArtsì, “Le Parole Giuste. Come la comunicazione può contrastare la violenza maschile contro le donne” – di cui è coautore con la giornalista Nadia Somma – ha sottolineato come ci siano delle buone prassi nella narrazione di simili fatti di cronaca, ad esempio è necessario “Non romanzare la narrazione, non ri-vittimizzare la donna con utilizzo di parole e immagini improprie, ma ricostruire in maniera oggettiva i fatti senza aggiungere congetture e spiegando le effettive dinamiche alla base del femminicidio”.
Alla presentazione, moderata dalla giornalista Pinella Leocata , è intervenuta Anna Agosta , presidente del centro antiviolenza Thamaia
da sin.: Martini, Leocata, Priulla, Agosta
che ha sottolineato: “Trattare la violenza dal punto di vista della comunicazione è fondamentale, perché guida la percezione degli utenti. Il libro – ha detto – ci offre tantissimi spunti di riflessione, per noi è importante che se ne parli e se ne parli nel modo giusto; è fondamentale che gli operatori della comunicazione siano formati e che il fenomeno della violenza maschile contro le donne venga presentato come un fenomeno strutturale”.
“I fatti in se stessi sono muti – ha detto poi la sociologa Graziella Priulla – ci vuole qualcuno che li faccia parlare, e la narrazione fatta dai mezzi giornalistici è così importante perché da questa scaturiscono degli esiti, siano essi legislativi, politici, di formazione delle giovani generazioni. La prima vittoria che abbiamo conseguito in quest’ambito è l’inserimento della parola femminicidio nelle cronache perché finché un fenomeno viene annacquato tra gli altri avvenimenti violenti non emerge. Il femminicidio non è semplicemente l’uccisione di una donna, ma l’uccisione di una donna in quanto tale. È invece ancora difficile che venga usato il termine violenza domestica. Il fatto che la casa sia un luogo pericoloso e l’idea che l’amore possa essere dannifico sono i due tabù più difficili da smontare – ha concluso-.
VIDEO
Il libro oltre ad analizzare la figura del maltrattante, tratta anche del modo di utilizzare le immagini che spesso erotizzano la violenza o perpetuano lo stereotipo della donna fragile, di cristallo, la cui immagine conclude l’autore, è ben diversa da quella che ci viene restituita parlando con le operatrici dei centri anti violenza.