Musica: dissertazioni a cura di Fidelio. 10° puntata del viaggio con Bellini.
Ma Bellini si chiamava Massimo?
10 Nuove conoscenze, nuovo amore.
Dopo la pausa dedicata a Donizetti e alla sua Lucia, torniamo al nostro Vincenzo.
E parlarne mi sembra importante, proprio in un momento in cui il “suo” teatro attraversa una crisi che potrebbe essere una vera agonia, per di più tra l’indifferenza e l’apatia di tutti. Come disse qualcuno, se a Milano chiudesse la Scala succederebbe il finimondo, se chiude il Bellini non gliene importa niente a nessuno.
Lo sappiamo che ci sono tante cose che non vanno; ma per questa e per le altre, c’è ancora qualcuno capace di indignarsi e magari di agire?
Lui, almeno, quando lo abbiamo lasciato era invece gongolante per il successo del suo esordio proprio alla Scala.
I musicisti rinomati venivano ricevuti in società.
Cosa può dare più lustro a un salotto dell’accogliere il nuovo astro nascente da esibire ai propri ospiti?
E così, proprio grazie al Pirata, il ragazzo catanese si ritrovò a frequentare l’aristocrazia del Nord.
Ma, oltre a conti, contesse e nobili vari, conobbe una coppia la cui metà femminile fu molto importante per la sua carriera. La moglie era infatti quella Giuditta Pasta, artista osannata, che sarà poi la prima interprete di tre sue opere.
Giuditta Pasta (Como, Teatro Sociale).
Invece a Genova, dove si era recato – ricordate? – per la messa in scena di Bianca e Fernando, incontrò un’altra Giuditta: Giuditta Cantù, sposata Turina, che, per quanto mi risulta, con la musica non aveva niente a che fare, ma doveva avere altre doti, perché dopo poco tempo divenne la sua amante.
Tra parentesi, la nuova Bianca ebbe un buon successo, se non proprio clamoroso, tanto che la figlia di Luciano Bonaparte ne onorò l’autore scrivendo che la Bianca aveva fatto impallidire l’Otello (quello di Rossini, che si dava nello stesso periodo).
Il virile orgoglio siciliano ha partorito la fantasia di un Bellini grande amatore. In realtà, questa con la Turina è l’unica relazione di cui si sappia con certezza, oltre a vaghi accenni ad alcune “scappatelle” e poi a una donna che in seguito si troverà a Parigi: “Io non penso a nessuno: conosco, come ti dissi (naturalmente sta scrivendo a Florimo), una signora che voglio bene piuttosto d’amicizia che d’amore; essa mi ama alla follia … il mio pensiero poi è fisso a voler trovare una moglie … io sono così, anche: amo la donna che non ho in progetto di sposare e mi annoia quando questo progetto si affaccia…”.
Queste affermazioni potrebbero essere coerenti con la figura del dongiovanni farfallone e, certo, lui era un bel giovane, così biondo e con gli occhi azzurri, ma dall’aspetto delicato, quasi femmineo, e molto curato nel vestire, tanto che il poeta Heinrich Heine – che lo conoscerà più tardi a Parigi, e che Vincenzo, non a torto, direi, considerava uno iettatore, perché quello lo prendeva in giro dicendogli che i geni muoiono giovani – così ce lo descrive:
“I suoi tratti avevano qualcosa di vago e senza carattere… si volgeva talvolta a un’espressione agrodolce di tristezza. Questa tristezza… era una tristezza senza profondità… senza poesia… senza passione… portava il suo bastoncino spagnolo con un’aria così idilliaca… il suo portamento era così femmineo, così elegiaco, così etereo!…”. E conclude definendolo “un sospiro in scarpine da ballo”.
Vediamo invece un’altra descrizione di Bellini:
“Quell’animo candido… era chiuso in sembianze veramente delicate e gentili. Amabile di maniere, con portamento grazioso, affettuoso e attraente per una soave tristezza … avea modi di rara eleganza… Il volto suo ritraeva quella cara malinconia … a cui non si regge”.
E’ come guardare la stessa fotografia in negativo e in positivo. Naturalmente il secondo ritratto lo dobbiamo alla penna di Florimo. In entrambi i casi, comunque, non sembra proprio l’identikit del maschione sciupafemmine.
Vincenzo Bellini, Milano Museo Teatrale alla Scala.
Inoltre, anche a non volere dar credito ad Heine, che forse era invidioso, non c’è alcuna prova che sia stato, come si crede comunemente, amante della Pasta, che era una brava signora, di cui anzi Vincenzo pensò per qualche tempo di sposare la figlia, Clelia.
Ma, al solito, ho fatto un bel salto in avanti.
Torniamo quindi alla Turina.
Giuditta Turina (Catania, Museo Belliniano)
Neanche di lei il nostro amico doveva, secondo me, essere follemente innamorato. Come scrisse – indovinate a chi – raccontandogli la loro ‘prima volta’, lei gli chiede “m’amerai sempre?” e lui: “io le risposi giurandole di sì, che l’avrei amata se ella ne fosse sempre meritevole…”. Ma così risponde uno innamorato? Fatemi il piacere.
Dopo di ciò, consolidata la relazione, si mise a fare tranquillamente l’amico di famiglia e si faceva pure ospitare, mentre il marito chiudeva un occhio, anzi due, finché restavano salve le apparenze.
Ma basta pettegolezzi, dobbiamo occuparci invece delle faccende di lavoro.
L’opera successiva è La straniera; ne parleremo la prossima volta.
Nel frattempo il vostro Fidelio, anche se un po’ amareggiato, continua a sperare che le cose possano ricominciare ad andare un tantino meglio e quindi augura a tutti di passare serenamente il periodo delle feste. Incrociando le dita.
Buon 2014!
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