Musica: dissertazioni a cura di Fidelio. 4° puntata del viaggio con Bellini.
Ma Bellini si chiamava Massimo ?
4 Milano è un gran Milan …
Ecco Fidelio, di nuovo qui per voi, come aveva promesso – o forse minacciato?
Finite da un pezzo le vacanze? Spero che vi siate divertiti – crisi permettendo – o quanto meno riposati.
Settembre è ormai agli sgoccioli e non possiamo non ricordare che giorno 23 ricorre l’anniversario della morte del nostro Vincenzo.
Ma questo è un avvenimento per noi ancora lontano, quindi riprendiamo il nostro discorso.
Ricordate? il giovane Bellini si è fatto apprezzare con Adelson e Salvini e poi con Bianca e Gernando, quindi ha intrapreso la grande avventura ed è partito per il profondo nord.
Arrivato nella città padana – allora sotto il dominio austriaco – Vincenzo si mise in contatto con i coniugi Pollini, due bravi sessantenni che lo accolsero in famiglia, praticamente adottandolo. Il marito, Francesco, tra l’altro era stato allievo non solo di Zingarelli – da qui il legame col nostro – ma persino di Mozart; era pianista, clavicembalista e compositore.
Il bravo figliolo volle poi dimostrare la sua gratitudine dedicando alla Signora Marianna Pollini (di cui invece non so nulla, forse era una cantante) le Sei ariette per camera per mezzosoprano e pianoforte, composte tra il 1828 e il 1829. Che ne dite di ascoltarne una? Ecco il link.
http://www.youtube.com/watch?v=ellJs0xuTTc
Inoltre, grazie a un altro musicista meridionale, Saverio Mercadante, che era di Altamura, conobbe colui che diverrà il suo più fidato collaboratore, Felice Romani, il più rinomato tra i librettisti dell’epoca: scrisse libretti non solo per il nostro (una novantina di libretti per una quarantina di autori), pure per Rossini, tra cui quello – tuttora godibilissimo – del Turco in Italia; più tardi, per Donizetti, citiamo quelli dell’Anna Bolena e dell’Elisir d’amore; e per Verdi, Un giorno di regno, anche se in quest’ultimo caso non fu una prova felice, la seconda opera del bussetano fu un flop pazzesco.
In realtà Romani – con in tasca una laurea in legge e una in lettere, e sapendo di di greco e di latino – era poeta di formazione classica; nei libretti d’opera però seppe adattarsi, quando necessario, alle tendenze romantiche o romanticheggianti che si stavano affermando in quel periodo.
Ritratto di Felice Romani
Il rapporto tra musicista e poeta, anche se spesso abbastanza agitato, fu lungo e fruttuoso. Bellini sosteneva di non poter comporre se non aveva i versi su cui basarsi, il che non è poi del tutto vero, dato che – e sì, dobbiamo dirlo – all’occasione riciclava anche lui. Ad esempio, la cavatina di Giulietta nei Capuleti e Montecchi sarà ripresa dall’Adelson, per non parlare ora del resto dell’opera, ma quando si ha fretta non è il caso di stare a guardare tanto per il sottile.
Quello che è certo è che la sua produzione resta estremamente limitata (dieci opere, se non si considerano i rifacimenti di Adelson, di Bianca e dei Puritani), rispetto a quella dei suoi contemporanei, incessantemente pressati dai teatri perché sfornassero opere a getto continuo per soddisfare la richiesta di novità da parte del pubblico. Vedi Donizetti , che di opere ne scrisse una settantina e ne sono rimaste stabilmente in repertorio tre o quattro; o Giovanni Pacini, l’altro operista nato a Catania – ma solo per caso – popolarissimo ai suoi tempi,che ne compose ancora di più e non ne è rimasta in repertorio neanche una, com’è il caso pure del già citato Mercadante e di innumerevoli altri di cui non ci si ricorda più neanche il nome. Dello stesso Rossini, è già strano che si vada oltre il “Figaro qua Figaro là” del Barbiere di Siviglia; ogni tanto un’Italiana in Algeri, una Cenerentola, più di rado un’opera seria, una Semiramide o un Guglielmo Tell, con tutto che a Pesaro il ROS (Rossini Opera Festival) si sforza di riesumare i titoli più strambi, tipo Ricciardo e Zoraide o roba del genere.
Il metodo di Vincenzo era invece di scrivere, in media, un lavoro all’anno, con queste premesse: “io mi sono proposto di scrivere pochi spartiti … ci adopro tutte le forze dell’ingegno… mi do briga prima di tutto di avere da pregiato scrittore un dramma perfetto…. persuaso come sono che gran parte del buon successo dipenda dalla scelta di un tema interessante, da accenti caldi di espressione, dal contrasto delle passioni”. Sembra quasi di rileggere una lettera di Mozart al padre: “La cosa migliore di tutte è quando un buon compositore … incontra quella vera fenice che è un poeta intelligente”.
Devo dire che ho ritrovato questo stesso parallelismo Bellini/Mozart nella prefazione di Marzio Pieri al volume Tutti i libretti di Bellini. Be’, mi fa piacere di avere avuto la stessa idea di un illustre personaggio. Non copio, io! Be’, quasi mai. Mi documento, ecco.
Il volume riporta anche i testi delle prime versioni di Adelson e di Bianca,
della seconda versione dei Puritani, nonché frammenti del mai composto Ernani.
Il lavoro di composizione era portato avanti in piena collaborazione tra musicista e poeta; sui manoscritti di Romani si trovano correzioni al testo da parte di Bellini, che voleva sempre ottenere una maggiore concisione, eliminando le parole “inutili”. Ma Romani, come si è già detto, scriveva per molti altri compositori e quindi era sempre in ritardo; d’altra parte era anche giustificato, perché i librettisti erano pagati ben poco. Il nostro Vincenzo invece, che stupido in queste cose non era affatto, proprio in base alla scarsità numerica della sua produzione, riuscì a farsi pagare più di qualunque musicista del tempo.
Primo frutto della collaborazione con Romani fu Il pirata, che venne appunto dato al Teatro alla Scala il 27 ottobre 1827, interpretato ancora dalla Lalande e da Rubini, creatori di parecchi ruoli belliniani, affiancati stavolta da Antonio Tamburini.
Il Teatro alla Scala in una stampa d’epoca.
E siccome su questo Pirata mi dilungherò, per ora Fidelio vi dà appuntamento alla prossima puntata.
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