Ma Bellini si chiamava Massimo?
2 Sotto un altro vulcano.
Il Vesuvio
Abbiamo lasciato il nostro eroe, ormai diciottenne, appena approdato in quel di Napoli dopo una traversata alquanto burrascosa.
Al Real Collegio di San Sebastiano, dove Bellini venne ammesso come convittore, i suoi insegnanti furono gli ultimi maestri della gloriosa tradizione dell’opera napoletana – come non citare, oltre al già menzionato Niccolò Piccinni, almeno il grande Alessandro Scarlatti, padre di quella tradizione (ma era nato a Palermo), Giovanni Paisiello, di Taranto, autore della seconda Serva Padrona (sullo stesso libretto di quella di Pergolesi, “mamma” dell’opera buffa), del primo Barbiere di Siviglia, e soprattutto della Nina pazza per amore, madre a sua volta di tutte le femmine folli o almeno un po’ alienate che la seguiranno, Domenico Cimarosa, di Aversa, col suo Matrimonio segreto, e così via, elencando infiniti nomi ormai dimenticati di musicisti provenienti da tutto il meridione …?
Questi insegnanti erano fautori di uno stile di canto semplice, sostenuto da un uso essenziale dell’orchestra, come è infatti nelle opere di Bellini, e in genere molto critici nei confronti di Gioachino Rossini, detto il “tedeschino”, perché reo, in parole povere, di preoccuparsi troppo dell’orchestra, secondo la tradizione del sinfonismo tedesco, e troppo poco della consonanza tra testo e musica, tant’è che è famoso il suo sistema di ‘riciclaggio’ delle musiche da un’opera all’altra, mentre le parole si fanno puro suono.
Erano vecchi davvero questi maestri, eppure Nicola Zingarelli, il principale maestro di Vincenzo, gli sopravvisse di due anni.
Il monumento a Bellini eretto a Napoli grazie alle sottoscrizioni per l’album belliniano voluto da Florimo.
Nello stesso periodo in quel conservatorio studiava anche il calabrese Francesco Florimo, che di Bellini diventò grande amico e poi biografo, basandosi sulle numerosissime e lunghe lettere che il musicista, ormai lontano, gli inviava. Ed io sospetto che sia questo il vero motivo per cui ha scritto così poche opere, era troppo impegnato a tenere corrispondenza e non solo con Florimo. Scherzo, via. La cosa strana, invece, è che non esistono lettere a papà e mammà, mentre ce ne sono molte allo zio, il che ha suscitato il dubbio che i genitori non fossero in grado di leggerle.
Pare invece che il buon Florimo queste lettere, pubblicandole, avesse l’abitudine di, come dire, un pochino migliorarle… e questo è possibile constatarlo confrontando gli originali esistenti con le versioni riviste e corrette, ma di originali ne restano pochi… Florimo li regalava alle ammiratrici…
Carino, anche se poco significativo per una biografia belliniana, è per esempio il fatto che non abbia riportato un brano in cui il musicista lo definiva – affettuosamente, peraltro – “testa di calabrese”, che per i siciliani, chiedo scusa, vuol dire proprio testa di legno.
A sin. il volume edito dal Rotary in occasione della ristampa dell’album pianistico
(raccolta di partiture di vari compositori) e dell’album di scritti in onore di Bellini,
che servirono a finanziare la costruzione del monumento napoletano.
A des. la bella biografia di Bellini in cui John Rosselli non è molto tenero con l’operato di Florimo
nel curare l’edizione delle lettere di Bellini.
Come passava il tempo un ragazzo siciliano, catapultato in una città come Napoli, tanto più grande di quella dov’era nato e cresciuto?
Rimpiangeva la sua patria? Esiste una sua lettera parecchio più tarda, non riesco più a trovare la citazione esatta, ma insomma più o meno racconta di un incontro con un altro catanese con il quale concorda convinto nel definire Catania la più bella città del mondo, ahiahi, la vedesse ora, e Sant’Agata la prima santa del Paradiso, come fermamente crede infatti ogni catanese degno di tal nome.
La processione per la festa di Sant’Agata giunta all’altezza dell’attuale piazza Stesicoro,
in una stampa settecentesca del Saint-Non.
Ma il brano per me più toccante, testimone di una nostalgia per gli antichi sapori, è contenuto in un’altra lettera spedita da Parigi nel 1834 all’amico palermitano Filippo Santocanale: “Credo che in tempo d’està potrebbe mandarmi dei fichi d’India, non è vero?”.
Per ora, intanto, a parte un breve ritorno a casa, era ancora a Napoli. Studiava, chiacchierava con Florimo, andava al San Carlo a vedere le opere non solo di Rossini, che quel teatro dirigeva, ma anche di Gaspare Spontini, di Simone Mayr, il musicista di origine tedesca che fu, tra l’altro, maestro di Gaetano Donizetti, e dello stesso Donizetti, di poco più anziano di lui – era nato nel 1797 – ma già in piena attività.
Sappiamo anche che i due studentelli, presi da un raptus di fervore patriottico, si erano affiliati alla Carboneria, ma l’intervento del direttore gliene fece passare subito la voglia, mandandoli a confessare i loro peccati.
Inoltre Vincenzo frequentava la casa di un magistrato, della cui figlia, Maddalena Fumaroli, si innamorò. Andò a finire a niente perché il padre si rifiutò di dar credito a “un suonatore di cembalo”, senza arte né parte. In realtà questo rifiuto non dovette proprio spezzargli il cuore e, quando il cerbero cambiò idea, fu lui a non volere più; così infatti scriveva a Florimo nel 1828: “T’acchiudo una risposta per la Fum.li (sic) a sue tre lettere, che vuole in tutti i conti sposarmi e io non ho ne (sic) la voglia di prendere moglie ne (sic) denari per mantenerla…”. E ancora: “… perché così vogliono i miei interessi di carriera e di finanze”.
Ritratto di Maddalena Fumaroli (Catania, Museo Civico Belliniano).
Ma torniamo al 1825. Completato il corso di studi, al promettente allievo venne affidato il compito di scrivere un’opera, che fu poi eseguita all’interno del conservatorio, interpretata anche nelle parti femminili dagli allievi, tra i quali naturalmente non c’erano ragazze, tutte a casa a ricamarsi il corredo.
Quest’operina, Adelson e Salvini, in tempi moderni è stata ripresa a Catania al Teatro Metropolitan nel 1985 e successivamente nella più giusta sede del Teatro Massimo Bellini, nel 1992.
Sopra, figurino per il costume di Lord Adelson nell’edizione del 1985.
Sotto, figurino per il costume di Salvini, sempre nella stessa edizione.
© E.A.R. Teatro Massimo V. Bellini.
Della rappresentazione catanese potete, se volete, vedere “l’opera in 10 minuti” su Youtube cliccando sul link http://m.youtube.com/watch?v=Xx0GToadzEY
La ripresa non è tecnicamente perfetta e per di più al filmato è sovrapposto tutto un riassunto, scritto, per chi lo capisce, in inglese; ma può valere la pena di collegarsi. Oppure cliccare su
http://m.youtube.com/watch?v=aZ2KaBTbeyc per ascoltare José Carreras nell’aria “Ecco signor la sposa”.
Scenografia per la stessa rappresentazione del 1992.
© E.A.R. Teatro Massimo V. Bellini.
Il libretto è di Leone Tottola, collaboratore più volte sperimentato, tra gli altri, sia da Rossini sia da Donizetti. Si tratta, in breve, della storia dell’amicizia tra l’irlandese Lord Adelson e il pittore italiano Salvini, nonostante quest’ultimo sia innamorato di Nelly, fidanzata del primo. L’italiano, devo dire, non ci fa una gran bella figura, ma alla fine si riscatta salvando Nelly dal perfido Struley e restituendola al Lord.
Foto di scena per l’atto III della rappresentazione catanese del 1992.
© E.A.R. Teatro Massimo V. Bellini.
Dell’opera esistono due versioni: nella prima i dialoghi sono normalmente parlati e il personaggio di Bonifacio, servo di Salvini, si esprime in un dialetto napoletano alquanto incomprensibile – tra l’altro è questo l’unico personaggio buffo, in omaggio alla scuola napoletana, di tutta l’opera di Bellini; nella seconda, rivista e modificata per il Teatro del Fondo, ma mai rappresentata fino alla ripresa catanese, i dialoghi sono in recitativo secco – cioè senza accompagnamento orchestrale – e Bonifacio si converte all’italiano.
In ogni caso, Adelson ebbe buon esito, tanto che al suo compositore venne commissionata un’opera per il San Carlo.
Ma si è fatto tardi, poffarbacco, quindi di questo Fidelio vi parlerà la prossima volta.
L’interno del Teatro San Carlo in una stampa dell’epoca.
Questo il link dove trovate la prima puntata del ciclo
https://www.cataniapubblica.tv/musica-dissertazioni-a-cura-di-fidelio-2/