Nella foto Pollara dal mare
Minestra del viandante di mare
Ciascuno di noi, nati in città in riva al mare, ha il suo luogo preferito, “dove il mare luccica e soffia forte il vento”, per dirla con Lucio Dalla.
Per me questo luogo è la conca del cratere vulcanico, per metà crollata in mare, che raggruppa le poche case di Pollara, nell’isola di Salina, dove venne girato “Il postino” con Massimo Troisi.
Fu lì, in un tardo pomeriggio di circa trent’anni addietro, che incontrai Nunziata.
Mi ero recato a fotografare il tramonto e avevo intenzione di andare oltre le ultime case di Pollara, verso Filo di Branda, per provare l’ebbrezza di guardare a strapiombo sul mare con la luce radente del sole che proiettava lunghe ombre su quel luogo magico e aspro. E proprio mentre mi avvicinavo alle ultime case, in parte ridotte a ruderi, sentii delle voci, ma non vidi nessuno.
Poi, girando attorno, mi accorsi di una donna su un terrazzo che parlava da sola, dialogando con altri che non erano presenti. Nunziata era magra, di statura media e aveva un corpo segaligno.
Capelli lunghi brizzolati, carnagione scura, mostrava settant’anni, ma poteva averne cinquanta portati male o novanta portati bene. I suoi piedi erano color della terra sulla quale camminava scalza. Spesso andava a piedi da Pollara a Malfa a fare la spesa, perché a Pollara non v’erano negozi e si poteva fare affidamento soltanto sulla lapa di Gaetano che portava frutta e verdura in giro per l’isola.
Finito il suo discorso mi disse che stava raccontando ai figli, emigrati in Australia, come andavano le cose lì a Pollara, e chiedeva loro se stavano bene in Australia, ma raramente otteneva risposta, così provava a immaginare come stessero.
Era, Nunziata, una viandante, nel senso letterale del termine di una persona che va, e mi ricordò il verso “mai più rivedrò il mio perduto amore” del secondo dei Lieder eines Fahrenden Gesellen di Gustav Mahler (che è anche uno dei più bei temi musicali della sua prima sinfonia).
Anche lei non avrebbe mai più rivisto i figli.
Seppi, dopo qualche anno, che Nunziata, quando non fu più capace di badare a se stessa, venne ricoverata nella casa di riposo di Valdichiesa, e per trasportarla lì, poiché non tollerava di andare in altro modo che non a piedi e soffriva a stare chiusa in auto, dovettero caricarla di peso sul cassone di una lapa, con tre persone a tenerla ferma.
Morì in capo a tre mesi.
Pensai a lei quando, qualche anno dopo, iniziai a coltivare la passione per la pesca dalla barca. Andavo, con il mio gommoncino, cercando di prendere pesci, impresa non facile perché bisognava conoscere gli scogli o le secche dove si trovano quelli di buona stazza. E i pescatori che conoscevano tali posti, individuati con le mire a terra facendo collimare almeno tre differenti punti, non confidavano il loro segreto neanche ai figli, se non forse sul letto di morte.
E ancora oggi è così.
Dunque ero diventato un viandante di mare, e spesso tornavo a casa con un buon bottino, ma tutto di pesci piccoli: precchie, puddaci, aleri, munaceddi russi, e altra minutaglia del genere. Pesci molto saporiti ma da cui si ricavava poco e che costava fatica pulire.
Si potevano fare delle zuppette, ma alla lunga stufavano e non valeva la pena, se non per l’insana passione del neofita, trascorrere interi pomeriggi sotto il sole cocente e tornare stanchi e disidrati per portare a casa così poca roba.
Il mio amico Mimmo, chef per passione, che purtroppo è accomunato a Massimo Troisi per aver lasciato prematuramente questo mondo esattamente nella stessa data in cui morì l’attore napoletano, ebbe allora un’idea geniale: utilizzare il pesce da me pescato per farne polpette, da friggere e servire come antipasto.
Dalle polpette di pesce mi venne poi l’idea di cuocerle in brodo dello stesso pesce, con il vantaggio di creare una minestra molto idratante e corroborante per chi fosse andato per mare l’intera giornata e avesse avuto bisogno di ricostituire le proprie riserve idriche e di sali minerali.
È così che nasce la minestra del viandante di mare, nel ricordo di Nunziata e di Mimmo.
Ingredienti per otto persone
1,5 kg di pesci da zuppa (se non volete faticare, 1 kg di filetti di pesce come merluzzo, scorfano, gallinella o fagiano di mare, cocciu, tracina, cernia, spigola)
Mezzo chilo di filetti di pomodori ben maturi
Cipolla, aglio, prezzemolo, basilico, finocchietto selvatico, alloro, rosmarino, timo e maggiorana in quantità variabile
La scorza di un limone non trattato
2 uova intere
1 bustina di zafferano
Olio extra vergine q.b.
Sale q.b.
50 grammi di parmigiano grattugiato
Un bicchiere di vino bianco aromatico (Alcamo, Traminer)
Tre etti di pasta piccola, preferibilmente corallini
Preparazione
Pulite il pesce e lessatelo in abbondante acqua poco salata nella quale avrete posto la scorza di mezzo limone tagliata a fettine e le erbe (secondo il vostro gusto) racchiuse dentro una garza per dare sapore al brodo.
Appena cotto togliete la garza con le erbe e le scorze di limone, estraete il pesce, diliscatelo (se non usate filetti già senza lische) e ponetene due terzi nel frullatore insieme al parmigiano, alle uova e a qualche erba aromatica sempre secondo il vostro gusto.
Create un composto abbastanza denso, quindi formate delle polpettine molto piccole, di un diametro doppio rispetto a quello di una nocciola.
Ponetele su un asse o tagliere per farle asciugare in modo che non si sfaldino quando cuoceranno nel brodo.
Con il pesce rimasto fate una salsa.
In una capiente pentola che dovrà contenere il brodo, le polpettine e la pasta, fate soffriggere della cipolla con l’olio, quindi aggiungete il pesce e sfumate con il vino, poi i filetti di pomodoro.
Fate soffriggere ben bene il pomodoro, battendolo con il cucchiai di legno, aggiungendo di tanto in tanto del brodo di pesce.
Poi, quando tutto sarà ben amalgamato, versate il brodo in quantità sufficiente a contenere la polpette e a far cuocere la pasta.
Fate cuocere per qualche minuto, quindi aggiungete le polpette.
Riportate a ebollizione e aggiungete la pasta, facendola cuocere per poco più della metà del tempo di cottura previsto, altrimenti scuoce e si gonfia oltremisura.
Un minuto prima di spegnere il fuoco aggiustate di sale, aggiungete le scorzette di mezzo limone tagliate a pezzetti piccoli, fate sciogliere la bustina di zafferano e aggiungete un trito di prezzemolo o basilico secondo il vostro personale gusto.
Se non vi fidate di mantenere la pasta al punto giusto di cottura e temete che diventi troppo scotta (considerate che la temperatura della minestra, a differenza della pastasciutta, si mantiene vicina a quella di ebollizione per molto tempo dopo aver spento il fuoco e anche nei piatti) sostituite la pasta con dei crostoni di pane di semola di grano duro tostati al forno.
Qui le ricette precedenti
Calamari e patate con pesto di Gramignazzo
Farfalle ufali e patelle
Uova in guazzetto di telline
Tagliatelle verdi con salsa di masculini
Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano
Gnocchi con cozze e pesto di basilico
Paccheri all’agro di pesce con ricotta e bottarga
Cibreo alla crema di melograno
Il nero di seppia
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L’aggrassatu
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Tris di carciofi
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Carciofi a spezzatino e in fricassea
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