Lunga vita al cavolfiore!
Sebbene il cavolo sia particolarmente disprezzato nel linguaggio comune, dai “c….tuoi” ai “c…. acidi o amari”, ai “cavoli a merenda”, va detto che si tratta di una verdura nobile di cui non starò qui a vantare le doti se non per ricordarne le amplissime varietà.
Il cavolo nero toscano, ingrediente principe per la ribollita, il cavolo verza, ottimo se stufato per accompagnare piatti a base di carne di maiale, il cavolo cappuccio bianco o violetto, e tante altre varietà, fra cui il cavolo rapa di color violetto che ricordo fin dall’infanzia.
Ci sono poi i cavolfiori, e tra questi il bianco, il verde romanesco a forma di cuspide, il violetto siciliano, caratteristico della Piana di Catania, e da ultimo apparso sui banchi dell’ortofrutta, il giallo pallido.
In famiglia noi – intendo i figli – ci lamentavano di dover mangiare sempre cavoli, prevalentemente, se non esclusivamente, quello violetto di Catania, preferito a quello bianco.
Da piccolo il cavolo mi appariva come un oggetto misterioso. Non tanto perché mi avessero raccontato che i bambini nascevano sotto i cavoli – da noi prevaleva l’idea che fossero portati dalla cicogna – quanto perché mi turbava che, a seguito della bollitura, il colore violetto spariva, per dar luogo a un bel verde.
Veniva, il cavolo, proposto in due versioni: lessato o “affucatu”, cioè stufato in tegame con olio, cipolla e vino rosso.
Da queste preparazioni di base si ricavavano poi delle varianti: la pasta condita con il cavolfiore “affucatu” e il formaggio, detta “pasta ‘ncaciata”, quella con il cavolfiore lessato al dente e saltato in padella con capperi, acciughe salate e olive, i cavoli “affucati” serviti come contorno, oppure cucinati in forma di tortino e sformati.
Gira e rigira però, “sempre cavoli erano”, secondo la nostra argomentazione, sia pure cavolfiori.
Così un giorno mia madre, che amava inventare piatti, sia pure nell’ambito della continuità con la tradizione, decise di farcelo provare crudo, in insalata. Propongo oggi quest’insalata, lievemente rivisitata, che possiede un elevato potere digestivo, e dunque costituisce un fine pasto ideale.
Per farla occorre un cavolfiore violetto di buone dimensioni, ma potete usare a vostro piacimento anche il bianco, o il verde romanesco, o anche una colorata combinazione dei tre tipi, tenendo presente che sia il bianco sia il violetto devono essere compatti e sodi (le due foto del violetto ne propongono uno compatto e sodo e uno che non lo è).
La ragione consiste nel fatto che affettandolo, deve sbriciolarsi il giusto, altrimenti diventa una pappetta.
Insieme con il cavolfiore servono poi: cento grammi di granella di mandorle, sale e pepe nero macinato al momento, olio extravergine di oliva e succo di limone.
A mio avviso il potere digestivo è dato dalla combinazione di questi ingredienti.
In particolare trovo che la sostituzione del limone con l’aceto, benché non sgradevole al gusto, elimini quel grado di acidità dato dal succo di limone, che conferisce a quest’insalata una particolare freschezza.
Dopo aver pulito e lavato il cavolfiore o i cavolfiori, affettate finemente e in piccoli pezzi la parte dei fiori e soltanto una piccola parte dei gambi, questi ultimi in maniera particolarmente sottile.
Dopo aver aggiunto la granella di mandorle, mescolate, aggiungendo il sale, e l’olio.
Lasciate riposare per un paio d’ore, quindi completate il condimento con il succo di limone spremuto al momento e con una spruzzata di pepe nero.
Ideale per completare una cena a base di carni di maiale, salsiccia, o spezzatini di carne.