Pubblicato il: 18 October 2017 alle 12:58 pm
Gasolio libico rubato. Il carburante veniva miscelato a Augusta, Civitavecchia e Venezia, per poi essere immesso nel mercato italiano ed europeo ad un prezzo simile ai prodotti ufficiali pur essendo di qualità inferiore.
Con un totale di nove arresti, di cui tre ai domiciliari, si è conclusa un’indagine del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata.
I nove arrestati sono tutti accusati di associazione a delinquere internazionale dedita al riciclaggio di gasolio libico illecitamente sottratto dalla raffineria di Zawyia, località a 40 km ovest da Tripoli.
Durante le indagini dei militari del Nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme gialle, sono stati documentati oltre 30 viaggi durante i quali sarebbero stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di chilogrammi di gasolio per un valore all’acquisto di circa 30 milioni di euro.
Tra i soggetti coinvolti nel traffico internazionale di prodotti petroliferi libici e destinatari della misura in carcere figurano:
- Marco Porta l’amministratore delegato della Maxcom Bunker S.P.A., (cl.1969);
- Ben Khalifa Fahmi Mousa Saleem, alias “il Malem” (il capo), nativo di Zuwarah (Libia), fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga; BEN KHALIFA ha guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia ed è stato recentemente posto agli arresti per contrabbando di carburanti da parte delle Autorità libiche;
- il catanese Nicola Orazio Romeo (cl.1972), indicato da alcuni collaboratori di giustizia quale appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano e ritenuto, in una conversazione captata tra gli indagati, quale soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”. Romeo è già stato denunciato nel 2008 per la sua appartenenza mafiosa ai Santapaola e per alcune azioni estorsive perpetrate nelle zone di Acireale e Aci Catena. Nella presente indagine Romeo è parte integrante della componente maltese dell’organizzazione la cui funzione primaria è stata quella di organizzare i trasporti del gasolio libico via mare;
- i cittadini maltesi Darren Debono (cl.1974) e Gordon Debono (cl.1974); i maltesi, con Nicola Orazio ROMEO, hanno curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di società commerciali coinvolte nel business;
- il libico, originario di Zuwara, Tareq Dardard, quale collettore dei pagamenti e dei flussi finanziari veicolati su conti esteri nella disponibilità del Ben Khalifa.
Per i soggetti non rintracciati sul territorio nazionale, la Procura distrettuale ha richiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale.
Gli arresti domiciliari sono scattati per tre dipendenti della società Maxcom Bunker SpA, complici di Romeo. Si tratta di:
- Rosanna La Duca (cl.1969), consulente esterna della Maxcom Bunker SPA
- Stefano Cevasco (cl.1969), addetto all’ufficio commerciale,
- Antonio Baffo (cl.1956) responsabile del deposito fiscale di Augusta.
Dalle indagini si è scoperto che il gasolio libico, sarebbe stato trafugato dalla N.O.C. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, riciclato e immesso, all’insaputa dei consumatori finali, anche presso distributori stradali.
Si trattava un carburante con tenore di zolfo minore di 0,1% che era destinato al “bunkeraggio” cioè al rifornimento, in ambito portuale. Giunto in Italia, il gasolio veniva miscelato presso uno dei depositi fiscali della Maxcom siti ad Augusta, Civitavecchia e Venezia, per poi essere immesso nel mercato italiano ed europeo, Francia e Spagna in particolare, ad un prezzo simile a quello dei prodotti ufficiali pur essendo di qualità inferiore.
Mirando ad acquisire una disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato, in alcuni casi fino al 60%, rispetto alle quotazioni ufficiali, l’associazione criminale cercava di garantire alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato.
Al fine di nascondere la tracciabilità del prodotto, l’organizzazione criminale aveva creato una serie di società, che a più livelli, erano poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali.
Per eludere la commercializzazione e l’esportazione dei prodotti derivati dal petrolio raffinati in Libia, che in esclusiva della N.O.C. è stata prodotta una falsa documentazione attestante inizialmente l’origine saudita del gasolio “libico” e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle società sussidiarie della N.O.C. (National Oil Corporation).
Il 25 febbraio 2016, sul quotidiano online “corriere.it”, è comparso un articolo dal titolo “Le Petroliere fantasma dalla Libia all’Italia – I traffici nel mediterraneo” che ricostruiva con precisione le rotte delle navi impiegate dal sodalizio criminale per il traffico illecito di prodotti petroliferi tra la Libia, Malta e l’Italia, e il 9 marzo del 2016 sono pubblicati dei Report n. S/2016/209 del 09 Marzo 2016 da parte del gruppo di esperti in Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Questo ha allarmato i componenti dell’associazione criminale che, per non celare i propri affari illeciti, hanno cambiato le modalità con cui veniva effettuata la truffa.
Infatti il prodotto non era più accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici, realizzati attraverso la pratica corruttiva in quel Paese.
Nel citato Report delle Nazioni Unite veniva evidenziata l’imponente dimensione del “contrabbando di benzina sia dentro che fuori dalla Libia, che conduce al mercato nero e che fornisce una fonte significativa di introiti per i gruppi armati locali e le reti criminali”, con specifico riferimento ai prodotti provenienti dalla raffineria di Zawiya e contrabbandati, secondo modalità perfettamente corrispondenti a quelle accertate nel corso delle investigazioni condotte dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Catania, dalla “rete gestita da Fahmi ben Khalifa (anche conosciuto come Fahmi Salim)”, il quale “controlla una milizia ed è azionista di una compagnia maltese, ADJ Trading Limited”, oltre a “presiedere il Consiglio di Amministrazione di una compagnia libica, Tiuboda Oil and Gas Service Limited”.
Nei fatti, è stato appurato che Ben Khalifa, controllando le acque antistanti i porti libici di Abu Kammash e Zwarah, avrebbe consentito a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati e/o altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, procedevano ad un ulteriore trasbordo su natanti nella disponibilità di società maltesi, le quali s’incaricavano poi di trasportarlo presso porti italiani per conto della società Maxcom Bunker SPA. I natanti utilizzati per l’illecito trasporto disattivavano il dispositivo di identificazione al fine di celare la loro reale posizione.
Grazie all’utilizzo di dispositivi in grado di intercettare conversazioni tenutesi tramite l’impiego di apparati satellitari, i finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo P.T. di Catania, che per la prima volta hanno usato questa tecnologia, hanno eseguito la captazione di conversazioni tra telefoni satellitari operando a bordo dei mezzi aeronavali del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza e con il contributo tecnico fornito dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.).
La distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker SPA, infatti in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania sarebbe avvenuta tramite una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’IVA e alla vendita a distributori stradali “compiacenti” – ubicati in Catania e provincia – di gasolio “extra-rete” in frode a consumatori e compagnie di bandiera. Una struttura illecita che sarebbe composta da società cartiere ubicate in Catania e nel siracusano nonché da depositi fiscali nel trapanese e depositi di stoccaggio nel catanese, unite tra loro da apparenti rapporti commerciali attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
L’articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (IVA) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro. Tra gli indagati figurano gli amministratori di fatto delle società coinvolte, ai quali sarà notificato un avviso di conclusione delle indagini. Parte del gasolio illecitamente trafugato dalla Libia, dalla Sicilia è stato destinato per la distribuzione anche a società di stoccaggio campane.
Il gasolio “libico”, dopo miscelazione, è giunto, in alcuni casi, anche presso i distributori stradali ad un costo assolutamente “proibitivo” per gli operatori del settore leali costretti a soccombere al cospetto di società illecite che hanno messo a frutto l’evasione d’imposte e il minore onere d’acquisto della materia prima.
Infine, sarebbe emerso un sofisticato traffico illecito internazionale di carburante in grado di alterare la libera concorrenza di mercato, a danno di imprese, consumatori finali e degli Stati europei destinatari del prodotto petrolifero trafugato.