Il linguaggio come futuro di uno Stato. La “lezione” di Ivano Dionigi
di Edoardo Castiglione, Chiara Luggisi, Leonardo Russo
Lo scorso 23 Marzo 2017, Ivano Dionigi, ex Rettore dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, e presidente della neonata Pontificia Accademia di Latinità, si è recato presso l’Istituto d’istruzione Superiore Mario Rapisardi di Paternò, per presentare la sua ultima fatica letteraria, “Il presente non basta”, una dissertazione filologica sulla lingua latina che si sofferma anche sull’evoluzione dell’italiano e sull’importanza del suo uso corretto nella nostra società, per costruire un futuro solido, partendo proprio dal linguaggio.
Far conoscere ed apprezzare ai più giovani le potenzialità del latino e le implicazioni nel presente e nel mondo della digitalità è quindi il punto di partenza scelto da Dionigi, che negli anni ha potuto scandagliare le diverse sfumature dell’istruzione scolastica italiana anche grazie alla sua posizione di rilievo nel mondo accademico
La sua presentazione è stata incentrata su tre punti fondamentali: il primato della parola, la nobiltà della politica, la centralità del tempo.
Nello specifico, Dionigi si è soffermato sul ruolo dell’insegnante, che dovrebbe affascinare gli studenti, istruirli e mobilitare le loro coscienze, facendo leva anche sull’ampliamento del loro vocabolario. I termini usati comunemente infatti sono generali, si usano sempre meno parole nella vita quotidiana e quelle usate sono sempre le stesse, quei “verba obvia” che sarebbero da sostituire, invece, con i “verba optima”. Sono proprio queste ultime parole quelle capaci di “mantener viva e far evolvere in bene” (per citare lo stesso professor Dionigi) la lingua italiana, parole che nel loro significato “esprimono compiutamente l’azione che è da descrivere”.
Dopo questo primo passaggio di restaurazione linguistica, ci si potrà quindi soffermarci sulla valorizzazione della nobiltà della politica: secondo l’autore, cioè, si potrà immaginare un futuro florido per il nostro Paese solo quando chi governa lo farà “costretto da principi morali interiorizzati, che portino l’uomo politico a far politica solo per il bene dello Stato”. Diongi ha poi aggiunto, in riferimento al terzo punto, la centralità del tempo, che l’uomo di oggi corre il rischio di essere globalizzato nel contesto di “provinciale del tempo”, di non far cioè più riferimento al passato per carpirne i preziosi insegnamenti o per imparare da errori ora evitabili; insomma trascurando la storia e osservando il mondo da uno schermo corriamo il pericolo di edificare una casa partendo dal tetto (per citare Swift) e il regredire, impercettibile, della società sarà a questo punto irreversibile.
Dionigi ha quindi concluso affermando che “oggi servirebbe un nuovo Rinascimento, che unisse il notus al novus”.
Dalla bottega artigiana all’azienda che esporta maioliche in tutto il mondo. La storia di Barbaro Messina
di Loriana Ragusa
“Un paese che si nasconde, ma una storia che deve essere riscoperta”, è questo il pensiero di Barbaro Messina, uno dei volti più noti dell’ambito artistico paternerse, che con calorosa accoglienza ci ha ospitati nella sua azienda per raccontarsi a noi.
Tutto ha inizio dopo i primi studi del Maestro nella scuola pubblica, che dovette lasciare alla fine della terza elementare, per andare in aiuto della famiglia, iniziando a lavorare. Da sempre, però, il giovane Messina, aveva dimostrato spiccate doti creative, che lo inducevano a disegnare ovunque si trovasse, fossero strade, gradini, scalinate. Possiamo dunque affermare, che non bisogna ricercare l’origine dell’estro artistico del Maestro in qualche evento specifico della sua vita, in quanto questo sembra essergli sempre appartenuto, sin da giovane. Bisogna, piuttosto, capire come quest’uomo abbia avuto la capacità e la forza di arrivare dove è arrivato oggi, portando in tutto il mondo un prodotto in cui ogni paternese o cittadino del territorio etneo può ritrovarsi, e facendo conoscere se stesso, in tutta la sua unicità.
Il primo a riconoscere le sue potenzialità fu il suo stesso datore di lavoro, che, ci racconta con un po’ di emozione Messina, finanziò i suoi studi d’arte presso una bottega di Paternò. L’artista non ha mai dimenticato, però, di adempiere al suo dovere nei confronti della famiglia, che assisteva in ogni modo, facendosi commissionare dei lavori nelle vesti artista di strada.
Dopo aver racimolato un po’ di soldi, Messina scelse di viaggiare attraverso l’Europa, dove lavorò per diverse aziende. Vagabondò per due anni in lungo e largo, immergendosi nella storia e nella cultura di ogni luogo da lui visitato, con lo scopo di confrontarsi con realtà nuove e in grado di offrire spunti di riflessione, fino a quando intuì ciò che, forse, gli permise realmente di far fortuna. Ovunque andasse, Barbaro Messina si rese conto di non aver solo avuto l’opportunità di ammirare opere d’arte “diverse”, ma opere che potremmo definire “caratteristiche”, che permettevano agli artisti del luogo di parlare del proprio territorio, anche solo dalla materia prima da loro utilizzata.
Tornò poi qui in Sicilia, dove aprì il suo primo studio e iniziò la sua lunga ricerca del materiale perfetto.
L’occasione giunse, quando, gli venne commissionata la restaurazione di una ceramica di origine greca. Esaminando il pezzo, notò che tra la ceramica erano presenti delle piccole pietre nere, che dopo aver fatto analizzare, scoprì essere di origine vulcanica.
Cominciò quindi a realizzare opere in pietra lavica, che espose in varie mostre in tutto il mondo ed ebbe modo, anche se solo agli inizi del proprio operato, di ricevere l’incarico di produrre un numero di pezzi non indifferente da New York, in America, dove già tutti avevano intuito, compreso e soprattutto apprezzato il genio di Barbaro Messina, mentre ancora qui in Sicilia, molti non erano in grado di capire il suo estro.
Il Maestro ci racconta, con un leggero riso, un piccolo aneddoto, che gli porta alla memoria le mostre dove era solito trovarsi e, anche scherzosamente, “scontrarsi”, con le manifatture del territorio. Di solito si trattava di piccoli oggetti caratteristici, mentre Messina presentava sempre produzioni destinate alla serialità accompagnandole non con il nome di un’azienda, ma col nome di un artista: il suo. Queste opere d’arte erano quelle che il Maestro vendeva con molta facilità e, oltretutto, a prezzi maggiori, generando la perplessità delle altre maestranze presenti alle mostre, che magari vendevano di più numericamente parlando, ma non avevano incassi simili ai suoi.
La particolarità del lavoro di Barbaro Messina, non sta infatti solo nella materia prima da lui lavorata, ma nell’orgoglio che ha dimostrato, producendo qualcosa che andasse a valorizzare, ma allo stesso tempo, anche a identificare il nostro territorio, riuscendo così a “portare un pezzo di Etna in tutto il mondo”.
Lo stesso Maestro ci racconta quando, durante una sua esposizione in nord di Italia, una delle sue opere provocò le lacrime di alcuni osservatori, che ricordarono i colori e le sensazioni vissute qui in Sicilia.
Messina è dunque un uomo innamorato della sua “mediterraneità”, anche se profondamente deluso dal comportamento che prevale all’interno della società locale, che segue, come egli stesso afferma, la regola del “I soldi sono il mio lavoro e lo metto in banca”. La sua è una chiara denuncia nei confronti di una realtà materialista, che ha dimenticato le potenzialità della propria terra, le proprie radici; e che ha dimenticato quella “storia immensa, mai raccontata”, che tanto la caratterizza.
Il Maestro recrimina la mancanza di un’area artigiana nel territorio etneo e la “non cultura” d’impresa presente. Barbaro Messina ripone ogni sua speranza futura nei giovani, affinché questi prendano coscienza di essere gli unici ad avere la possibilità e le capacità di stravolgere e coinvolgere una società che ha ignorato per troppo tempo una tradizione storica che non merita di essere dimenticata. E sono proprio i giovani che lui stesso istruisce, per tramandare, non solo un mestiere, ma una passione che si ramifica nel folclore dei colori del paesaggio, della musica e dell’arte in sé.
Un esempio si può riscontrare nelle opere da lui presentate in collaborazione con la sua scuola di Nicolosi in occasione dell’81° Mostra Internazionale dell’Artigianato, tenutasi a Firenze, per la quale i ragazzi hanno avuto il compito di studiare i carri siciliani, i colori utilizzati e le scene rappresentate, riproducendole poi sulla ceramica. Ma come ben sappiamo, il soggetto preferito da Barbaro Messina è l’Etna. L’Etna che si tinge sempre del colore della lava, della passione, dell’amore. Amore che il Maestro rappresenta come l’amore materno, carnale. E non è un caso il suo dipingere di rosso i corpi femminili e in particolare i corpi di madri.
“La lava si veste di colori, ma i colori della tradizione etnea”, una tradizione dipinta di rosso che dovrebbe renderci orgogliosi, che come una “madre” è nostra ancora e alla quale ognuno di noi dovrebbe portare rispetto.
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