Teatro Massimo: il 4 e il 5 è di scena “I’m beautiful”
Lo spettacolo costituisce il punto d’arrivo del progetto Transiti Humanitatis, avviato nel 2014 da Roberto Zappalà insieme alla sua compagnia.
Dopo il successo di pubblico e critica del 10 novembre scorso all’Euro-Scene Festival di Lipsa, approda al Teatro Bellini “I’m beautiful”.
Il titolo dello spettacolo è suggerito dalla scultura di Rodin dove un uomo sostiene con le braccia e le spalle una donna nuda accovacciata. Singolare composizione (che per un attimo nello spettacolo viene citata) che a sua volta è ispirata al primo verso di una poesia di Baudelaire La Beauté: «Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre ». Il sogno di pietra si trasfigura nel movimento attraverso una lingua che ha la sua grammatica e la sua sintassi nei nervi e nelle giunture, nei fremiti e nei sussulti.
Lo spettacolo costituisce il punto d’arrivo del progetto Transiti Humanitatis, avviato nel 2014 da Roberto Zappalà insieme alla sua compagnia, e comprende le produzioni Invenzioni a tre voci (2014), creazione dedicata alla donna, Oratorio per Eva (2014), omaggio alla figura simbolica di Eva, La Nona (2015), ispirato all’ultima sinfonia di Beethoven, (Premio Danza&Danza come Miglior Spettacolo dell’anno 2015).
Sul palco i nove protagonisti, in candida biancheria, si lanciano in una danza forsennata e tribale, sottolineata dal battito ossessivo delle percussioni. Il fondale della scena è delimitato da un bianco tendaggio di fili dietro il quale s’intravede, sistemati su tre piani diversi, la band dei Lautari che esegue la musica live.
Divisa in tre parti, e lasciata ad un susseguirsi di liberi quadri, dopo l’inizio scandito da un suono percussivo ossessivo, la coreografia ha un momento centrale di quiete in cui, dopo aver ascoltato il canto di un antico, bellissimo, “Stabat Mater” contaminato in lingua siciliana, i danzatori avanzano lentamente in una semioscurità bluastra scandita da un suono cupo.
In questo spettacolo Zappalà abbandona quasi del tutto ogni finzione drammaturgica per sviscerare ed esaltare fino in fondo il linguaggio della sua Compagnia. Quella di I AM BEAUTIFUL diventa così una danza che assume come categoria fondamentale quella della visceralità “intesa e vissuta come nel mondo contadino, cioè come qualcosa di familiare e quotidiano, naturale”. (da Soltanto di Jan Twardowski)
In I AM BEAUTIFUL la danza stessa parla in prima persona attraverso il corpo dei suoi interpreti;
L’ensemble procede come una tribù, come un’umanità in divenire che, fremente, si riconosce, prende forma, si disgrega, si deforma, si compatta, si allontana, si ricompone tenendosi per mano in lievi girotondi – richiamo pittorico a “Le danzatrici” di Matisse –; si blocca in pose scultoree che citano statue celebri; avanza ritmicamente fra tremiti e sussulti; ondeggia in squilibri mentre si spezzano i legami umani; protende le braccia per tenersi uniti e non perire; si libera in una danza energica.
Un rito sacro, per Zappalà, che ha la sua consistenza nell’atto di guardare, come ci suggeriscono due danzatrici in proscenio declamando un testo in francese: «l‘arte di guardare è una forma di preghiera. Un modo per avvicinarsi all’assoluto, senza mai riuscire a entrarci». Si entra infine in un universo luminoso con l’improvviso accendersi di fari puntati verso l’alto, e con la danza che, in una vertigine dei sensi, esplode al suono trascinante delle chitarre elettriche.
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