ricette siciliane – Catania Pubblica web-tv https://www.cataniapubblica.tv Informazioni, notizie e Tg Catania. Testata giornalistica indipendente Wed, 29 Apr 2020 12:07:55 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.7.3 Il Gastronomo educato: Risotto con asparagi e zafferano https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-risotto-asparagi-zafferano/ https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-risotto-asparagi-zafferano/#respond Wed, 04 May 2016 12:37:42 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=36731 Coltivati o selvatici, verdi o bianchi, dal sapore delicato o più intenso, gli asparagi si prestano in cucina a una molteplicità di preparazioni. Qui una ricetta con piccole varianti.

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risotto con asparagi

Risotto con asparagi e zafferano

Coltivati o selvatici, verdi o bianchi, dal sapore delicato o più intenso, gli asparagi si prestano in cucina a una molteplicità di preparazioni, per la pasta, il riso, accompagnati con le uova.

Il risotto con gli asparagi è un classico, e nei giorni scorsi mi sono cimentato con la sua preparazione, apportando alcune piccole varianti.

Per quattro persone servono:

500 grammi di asparagi

400 grammi di riso carnaroli o vialone nano

un porro di buone dimensioni

50 grammi di burro

un bicchiere di vino bianco secco

una bustina di zafferano

un cucchiaio di farina di cocco

poco sale

Preparazione

Lavate bene gli asparagi in acqua fredda, poi asportate con un coltello la parte legnosa.

Fate cuocere in acqua lievemente salata, nell’apposita pentola con cestello, lasciando le punte fuori dall’acqua. Quando saranno al dente, estraete il cestello e non buttate l’acqua di cottura.

Separate le punte dal resto dei gambi.

Tagliate a pezzetti i gambi e metà delle punte. Lasciate l’altra metà delle punte per la guarnizione.

In un tegame antiaderente fate soffriggere il porro finemente tritato con il burro, eventualmente aggiungendo un po’ d’acqua per ammorbidire.

Ponete sul fuoco l’acqua degli asparagi per tenerla bollente. Vi servirà per cuocere il riso.

Tostate il riso con il soffritto e sfumate con il vino bianco, poi aggiungete l’acqua di cottura degli asparagi e il cucchiaio di farina di cocco, rimescolando per farlo sciogliere.

A metà cottura aggiungete gli asparagi tagliati a pezzetti.

Un paio di minuti prima di fine cottura togliete dal tegame un terzo del riso, trasferitelo in un altro tegame, aggiungete un po’ d’acqua di asparagi e sciogliete la bustina di zafferano, mentre prosegue la cottura nel tegame principale.

Lasciate il risotto non troppo asciutto e mentre riposa acquistando sapore, preparate i piatti.

Ponete al centro la parte di riso con lo zafferano e attorno quella bianca e verde.

Guarnite con le residue punte di asparagi.

Se volete, potete anche evitare di utilizzare il secondo tegame, e aggiungere direttamente lo zafferano in tutto il riso. Non cambia molto, i colori nel piatto non saranno tre, avrete eliminato il bianco e lasciato il giallo e il verde, ma non avrete la separazione fra il sapore dello zafferano e quello degli asparagi.

Un Grecanico spumantizzato sarà l’ideale per accompagnare la degustazione.

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Il Gastronomo educato: Ricottina di capra con pomodorini e bottarga di tonno https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-ricottina-capra-pomodorini-bottarga-tonno/ https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-ricottina-capra-pomodorini-bottarga-tonno/#respond Wed, 20 Apr 2016 20:15:26 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=36453 Una ricetta veloce e dalla preparazione semplicissima ideale come piatto unico o antipasto.

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Una ricetta veloce e dalla preparazione semplicissima ideale come piatto unico o antipasto.

ricotta

Capita talvolta di non aver voglia di spendere troppo tempo ai fornelli. Eppure bisogna pur preparare qualcosa, anche solo per se stessi, quando non per amici che vi fanno un’improvvisata.

In casi come questo non scoraggiatevi, fate come me: ricorrete ai ricordi e in breve tempo allestirete qualcosa d’intrigante e appetitoso. Un’unica avvertenza: tenete sempre in dispensa qualcosa che possa tornarvi utile, per esempio della bottarga di tonno, oppure della ricotta salata da grattugiare.
Ricordo che ero andato via da Catania da qualche anno, quando, trovandomi in città un amico m’invitò a prendere una pizza alla pizzeria che allora si trovava all’ingresso del cinema Teatro Sangiorgi, in via di Sangiuliano, di fronte a piazza Manganelli.

I catanesi sanno del cinema teatro Sangiorgi, legato alla Belle Epoque catanese, nato come teatro all’aperto nel 1900, e inaugurato con la Bohème di Puccini. Nel 1907 fu ricoperto e visse vita gloriosa come teatro di prosa, lirico, d’operetta e di cabaret, fino alla metà degli anni cinquanta, quando venne trasformato in sala cinematografica. Poi la decadenza, e la trasformazione in sala a luci rosse negli anni settanta. Nella progettazione originaria del teatro erano inclusi un albergo, un ristorante, un caffè e vari spazi per l’intrattenimento. Nel 2002 è stato recuperato alla sua funzione originaria, grazie all’acquisto da parte del Teatro Massimo Bellini di Catania.

Quella sera, in attesa che ci portassero la pizza ordinammo dei pomodori, che ci furono serviti tagliati a metà, e conditi con un filo d’olio, del basilico e della ricotta salata grattugiata. Ottimi, e da allora in poi li propongo ai miei ospiti, sia pure con delle varianti, presentandoli come “Pomodori Sangiorgi”, in onore al luogo dove per la prima volta li provai.

L’altra sera mi trovavo per l’appunto nello stato d’animo d’indolenza ai fornelli di cui dicevo, e ho preparato questo piatto, per il quale servono: della ricotta, preferibilmente di capra o pecora, in monoporzione, della bottarga di tonno, dei pomodorini, delle foglie di basilico e delle olive nere per guarnire.

La preparazione è semplicissima:

in un piatto sformate la ricottina ponendola al centro

circondate con i pomodorini spaccati a metà sui quali aggiungete un pizzico di sale appena.

grattugiate della bottarga di tonno sulla ricotta e sui pomodorini

condite con un filo d’olio, guarnite con il basilico e con un’oliva nera denocciolata.

Accompagnato da buon pane di semola, è un piatto fresco che costituisce una cena per una persona.

Se invece volete farne un antipasto, o qualcosa di sfizioso per un aperitivo, preparate più piatti con l’unica variante di porre al centro una fetta e non l’intera ricottina.

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Il Gastronomo educato: Tagliata di tonno affumicato con crema di cipolle https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-5/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-5/#respond Wed, 13 Apr 2016 07:04:16 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=36326 La ricetta di oggi nasce da due ricordi, il primo relativo al modo in cui si cucinava il tonno rosso nella mia famiglia,
il secondo da un’esperienza di studio e lavoro all’estero.

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tagliata di tonno

Tagliata di tonno affumicato con crema di cipolle, menta e aceto balsamico.

La ricetta di oggi nasce da due ricordi, il primo relativo al modo in cui si cucinava il tonno rosso nella mia famiglia, il secondo da un’esperienza di studio e lavoro all’estero.

Ho già ricordato, in qualche altra ricetta in questa stessa rubrica, come si cucinasse il tonno rosso – in gergo catanese “a tunnina” – nella mia famiglia.

Era una preparazione di non facile digeribilità.

Il tonno era impanato in farina e fritto a lungo e a fondo in olio d’oliva. Assorbiva molto olio cotto e si prosciugava al suo interno, divenendo stopposo a causa del sangue presente nella carne, e quindi difficile anche alla masticazione oltre che alla digestione. Di conseguenza ne restava sempre un bel po’, che era ripresentato il giorno dopo, come piatto freddo, sempre secondo il gergo locale, “cca’ cipuddata” (cipollata), un soffritto di cipolla, di solito rossa di Tropea, stufata nell’aceto e aromatizzata con menta. Qualcosa di simile al “saor” di veneta memoria.

Non sempre la cipolla era cotta alla perfezione, e restava impregnata dei suoi acidi che la rendevano indigesta. Così il tonno con la cipollata era artefice di incubi notturni e di andirivieni di sapori dallo stomaco al palato e viceversa per molte ore, e talvolta per giorni.

Però l’idea non era male, la cipollata, se ben fatta, era uno splendido accompagnamento per i pesci fritti o lessati. Occorreva poi cuocere il tonno in modo adeguato, lasciandolo morbido al suo interno, non del tutto cotto, oggi che le moderne tecniche di abbattimento garantiscono di evitare infezioni intestinali. E ci voleva poi un tocco originale, per esempio usare tonno affumicato. Per anni mi sono arrovellato nel tentativo di trovare una soluzione, perché il tonno affumicato si trova sì in commercio, ma in fette sottili e per piatti freddi, mentre io volevo preparare un piatto caldo. Né d’altra parte saprei come fare ad affumicare un grosso trancio di tonno. Sabato scorso infine mi sovvenne un altro ricordo e credo di aver trovato una soluzione.

Correva l’anno 1971, e grazie ad una generosa borsa di studio concessami dal British Council, trascorrevo l’anno accademico presso l’University of Sheffield, città che ancora forniva di pregiati coltelli e servizi di posate l’intero Regno Unito. All’Università furono magnanimi con quel giovane studioso che veniva a fare ricerca. Mi conferirono addirittura il titolo di Honorary Lecturer in Sociology, senza obbligo di insegnare. Quel titolo mi consentiva di accedere alla Common Room, nei locali messi a disposizione dall’università, dove docenti e ricercatori s’incontravano per bere un bicchierino di Porto o Sherry, o un buon tè nelle ore della giornata libere da impegni accademici, di solito dopo le cinque del pomeriggio. E fu lì che ricordo di aver gustato per la prima volta un tè particolarissimo, a me prima sconosciuto. Si chiama Lapsang Souchong, ed è un tè nero che proviene da una regione della Cina, il Fujian. La sua caratteristica principale è che, dopo essere stato essiccato, viene affumicato con legna di cedro, pino o abete rosso. Si tratta di un tè che si accompagna splendidamente con un sigaro Avana, o, per chi lo preferisce, con un Toscano, e inoltre si accoppia, freddo, al posto dell’acqua, con uno Scotch Single Malt, o un bourbon.

L’idea è dunque di affumicare il tonno con questo tè, costoso, è vero (circa otto euro l’etto), ma ne servono soltanto due cucchiaini per una ricetta per quattro persone.

E veniamo alla preparazione. Servono quattro fette di tonno dello spessore di due centimetri (usate il pinna gialla, l’alalunga o anche, ma solo per i siciliani che sanno cos’è, il palamito, e accertatevi che sia stato pescato nel rispetto delle regole, e possibilmente con la canna e non con le reti), quattro cipolle bianche, quattro cucchiai d’olio extravergine, un po’ di menta, sale fino, aceto balsamico e due cucchiaini di tè.

In primo luogo mettete a marinare le fette di tonno con due cucchiai d’olio d’oliva e un cucchiaino di tè, sfregando ben bene il tè sulle fette e adagiandolo sull’olio. Rivoltate più volte durante la marinatura, che deve durare almeno due ore.

Preparate poi l’infuso di tè, con una tazza d’acqua a 95 gradi e un cucchiaino di Lapsang Souchong per tre minuti. Filtrate il tè, e usate le foglie bagnate aggiungendole alla marinatura del tonno in modo omogeneo.

A questo punto fate la crema di cipolla.

Il segreto per renderla digeribile è quello di non seguire i precetti dell’Ufficio della Santa Inquisizione, che prescriveva di bruciare i corpi per purificare l’anima. Al contrario, per la cipolla occorre snervare il corpo per bruciare l’anima che è ricca di acidi indigesti. Fuor di metafora dovete stufare lentamente e a fuoco basso la cipolla con due cucchiai d’olio e con l’aggiunta a poco a poco di un liquido, che di solito è acqua, ma in questo caso è l’infuso di tè. Quando la cipolla sarà abbastanza morbida da disfarsi, e avrà perduto il contenuto in acqua, frullate con il frullatore ad immersione per ottenere una crema consistente.

Siete pronti adesso per cucinare il tonno.

Togliete l’eccesso di tè, ma lasciatene un po’ su entrambi i lati delle quattro fette.

In una padella antiaderente che avrete riscaldato sul fuoco, senza olio, ponete a cuocere le fette di tonno ripassate da entrambi i lati nell’olio della marinatura.

Scottate velocemente e a fuoco alto da entrambi i lati, in modo da formare una crosta dorata ma da lasciare morbido l’interno.

Servite nei piatti accompagnando con la crema di cipolla e guarnendo con menta e qualche goccia d’aceto balsamico.

Suggerisco un Nero d’Avola o un Cerasuolo di Vittoria in abbinamento.

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Il Gastronomo educato: fusilli con salmone al doppio condimento https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-fusilli-salmone-al-doppio-condimento/ https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-fusilli-salmone-al-doppio-condimento/#respond Wed, 06 Apr 2016 08:15:51 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=36188 Una ricetta della sezione "cucinare con gli avanzi",
che permette di preparare grandi piatti risparmiando sui costi.

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fusilli con salmone

Pasta con gli avanzi o gli scarti del pesce al doppio condimento 

Una ricetta della sezione “cucinare con gli avanzi”, che permette di preparare grandi piatti risparmiando sui costi.

Capita spesso di trovarsi in casi avanzi di pesce, per esempio se si è grigliato o lessato e non consumato del tutto, come nel caso di spigole, salmone, ricciola, orate.

In questi casi si possono ricavare gli avanzi, privandoli di lische e pelle e ricavarne degli ottimi sughi per condire la pasta. Ma non tutti sanno che nelle pescherie si possono comprare le parti meno pregiate dei pesci a prezzi irrisori, e ricavarne quantità di carni sufficienti a preparare il condimento per quattro o più persone.

Ad esempio, nella località in cui abito, la mia pescheria vende le teste di salmone fresco al prezzo di un euro e cinquanta centesimi il chilo. Con due teste si ricava polpa di pesce per una salsa sufficiente a condire quattro piatti di pasta. E nel luogo di mare in cui vado in vacanza, non è difficile trovare teste di ricciola o di pesce spada vendute a cinque euro per mezza testa, dalla quale si ricava allo stesso modo polpa per sei piatti di pasta.

Dunque non gettate via i resti edibili dei pesci che avete cucinato. E se volete risparmiare sulla preparazione dei condimenti a base di pesce per la pasta o il riso, comprate pure le teste, e talvolta anche le code, dei pesci grandi. Potrete preparare dei gran piatti risparmiando sui costi, e inoltre i vostri animali domestici, soprattutto i gatti, ne godranno a dismisura.

Il piatto di oggi è un esperimento per due persone con una testa di salmone del peso di circa 600 grammi (costo novanta centesimi), ma potete utilizzare il pesce che preferite.

Togliete le branchie e lavate accuratamente la testa, poi lessatela in una pentola con abbondante acqua lievemente salata e profumata con scorza di limone, rosmarino, cipolla e altre erbe aromatiche a piacere (consiglio il finocchietto selvatico). Non mettetela a freddo, ma soltanto quando l’acqua bolle. In questo modo le carni si schiariscono e perdono il loro contenuto in sangue, che altrimenti le renderebbe stoppose.

Pulite, diliscate e ricavate, dal dorso, le parti terminali dei filetti e fateli saltare in padella con un filo d’olio evo e un trito di porri ed erba cipollina.

Sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco, aggiustate di sale e a fine cottura aggiungete un pizzico di zafferano che farete sciogliere nel sugo.

In un’altra padella fate soffriggere, con un filo d’olio evo e un po’ di cipollina fresca o di scalogno, una zucchina che avrete tagliato in quattro parti per il lungo e poi a fettine sottili.

Salate subito per mantenere la zucchina croccante, rimescolando velocemente, date due minuti di cottura e avrete i due condimenti pronti.

Scolate la pasta, di tipo corto, come farfalle, fusilli, penne rigate, e condite prima con il sugo di pesce e poi con le zucchine.

Guarnite nei piatti con erba cipollina.

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Il Gastronomo educato: Trenette alla bottarga su crema di porri e zucchine https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-trenette-alla-bottarga-crema-porri-zucchine/ https://www.cataniapubblica.tv/gastronomo-educato-trenette-alla-bottarga-crema-porri-zucchine/#respond Wed, 09 Mar 2016 08:20:11 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=35594 Un piatto sapido e dall’ottimo equilibrio fra il sapore forte della bottarga e quello dolce di porri e zucchine. Si prepara in meno di mezz'ora.

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Trenette alla bottarga di tonno su crema di porri e zucchine

La bottarga, di muggine, di tonno, o anche di altri pesci, è un ingrediente che consente di preparare piatti veloci e gustosi. D’estate mi faccio la bottarga da me, selezionando con cura le sacche di uova, principalmente di alalunga, ma ho provato anche con il pesce spada, con il tonno, e, l’estate appena trascorsa, con la ricciola.

La bottarga si trova comunque facilmente in drogherie, supermercati e botteghe specializzate nella vendita di prodotti ittici. Raccomando, però, di comprare non quella già tritata, generalmente prodotta con gli scarti, o che in ogni caso tende a perdere di sapore, ma quella intera, che va grattugiata al momento.

La ricetta di oggi abbina il sapore forte della bottarga di tonno con quello delicato dei porri e delle zucchine, creando un piatto sapido e dall’ottimo equilibrio, che si prepara in meno di mezz’ora.

Ingredienti per 4 persone

280 grammi di trenette o linguine

2 zucchine chiare (in tutto 250 grammi)

2 porri (in tutto 200 grammi)

8 cucchiai di olio extravergine d’oliva

panna da cucina o in alternativa yogurt intero denso (preferibilmente greco) q.b.

mezzo bicchiere di vino bianco

sale grosso e fino q.b.

dragoncello

coriandolo

bottarga di tonno circa 30 grammi

 

Preparazione

 

Lavate, pulite il porro eliminandone le parti esterne più coriacee, e separate la parte bianca da quella verde. Da quest’ultima toglierete la parte dura.

Tagliate in 4 per il lungo la parte chiara e tritate in piccoli pezzi.

Mettete in una padella con 4 cucchiai d’olio e fate soffriggere a fuoco lento aggiungendo un po’ d’acqua se necessario.

Tagliate le zucchine a fettine e poi in piccoli pezzi, quindi aggiungetela ai porri insieme con un po’ di dragoncello.

Fate cuocere aggiungendo pochissimo sale, e quando l’acqua si sarà asciugata sfumate con il vino bianco.

Finita la cottura, fate raffreddare e frullate insieme alla panna e allo yogurt fino a ottenere una crema densa. Se vi viene un po’ liquida mettete in frigo per farla addensare.

Mettete sul fuoco la pentola con l’acqua per cuocere la pasta.

Nella stessa padella in cui avrete preparato le zucchine, mettete gli altri 4 cucchiai d’olio, tritate finissimamente le parti verdi del porro e fatele soffriggere, eventualmente aggiungendo un po’ d’acqua.

Intanto avrete grattugiato la bottarga e un po’ di coriandolo ponendoli in coppette separate.

Quando la parte verde del porro sarà pronta, fate raffreddare un po’, poi aggiungete un terzo della bottarga, e un terzo del coriandolo e rimescolate.

Nel frattempo avrete già messo a cuocere le trenette e potete preparare i piatti (piani per l’occasione).

Disponete sul fondo delle cucchiaiate di crema di zucchine, porri e dragoncello, poi un po’ di bottarga e di coriandolo.

Tenete da parte un po’ di crema per guarnire i piatti.

Scolate la pasta, saltatela nella padella calda (ma a fuoco spento) con una parte della bottarga e del coriandolo residui, quindi disponete le trenette nei piatti.

Guarnite con crema di zucchine e porri che avrete lasciato da parte e con una spruzzata di bottarga e di coriandolo.

Suggerisco di accoppiare con un Vermentino o con uno Chardonnay.

 

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Il Gastronomo educato: Riso Basmati con Graukäse e fiori di gelsomino https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-riso-basmati-con-graukase-e-fiori-di-gelsomino/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-riso-basmati-con-graukase-e-fiori-di-gelsomino/#respond Wed, 17 Feb 2016 09:00:15 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=33891 Una ricetta con il formaggio grigio, diventato presidio Slowfood, utilizzato con ingredienti diversi rispetto la sua zona d'origine.

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Il Graukäse, o formaggio grigio, è un prodotto di nicchia, tipico dell’alimentazione di alcune zone dell’Alto Adige, in particolare della Valle Aurina, dell’Alta Badia e del Val Pusteria.

Si tratta di un formaggio molto magro, forse il più magro fra tutti i formaggi, con materia grassa non superiore al due per cento del residuo secco.

Questa sua particolarità è dovuta al fatto che è prodotto con il latte rimasto dopo l’estrazione di tutte le materie grasse per la produzione di panna e burro.

Si produceva soprattutto nelle malghe più povere, dove mancava anche il caglio. Il latte si fa acidificare a temperatura di 25 gradi per 36 ore, dando luogo a una cagliata naturale che viene prelevata, posta a essiccare e asciugata. Viene poi spezzata a mano in grani medio – piccoli che sono nuovamente pressati e posti a stagionare per dieci giorni.

Durante questo procedimento si formano delle muffe grigie, che danno al Graukäse il suo tipico aspetto a patchwork, con pasta non omogenea e profumo e sapore di muffe. Per le sue caratteristiche è diventato un presidio Slowfood.

Mi è stato portato del Graukäse dai miei familiari di ritorno dalle piste dell’Alta Badia, e ho pensato di utilizzarlo per un piatto di riso preparato, per così dire, con ingredienti in parte “alieni” rispetto alla tradizione della zona d’origine.

Ed ecco la ricetta.

Ingredienti per 4 persone

350 grammi di riso Basmati

100 grammi di Graukäse

2 scalogni di medie dimensioni

mezzo bicchiere di Gewürztraminer

chicchi di pepe nero

due cucchiai di olio extra vergine

20 fiori di gelsomino d’Arabia (fuori stagione 2 gocce di essenza)

4 cucchiai di yogurt intero

sale q.b.

Preparazione

In una padella o tegame antiaderente, in cui completerete la cottura, fate soffriggere lo scalogno finemente tritato con l’olio d’oliva e aggiungendo un po’ d’acqua.

Fate poi sfumare con il vino.

Nel frattempo avrete messo a cuocere il riso in acqua bollente.

Dopo cinque minuti di cottura aggiungete il sale.

Tagliate a pezzetti piccoli il Graukäse, lasciando da parte 4 fettine per la guarnizione dei piatti.

Dopo 7-8 minuti di cottura scolate il riso e versatelo sullo scalogno, mescolando con il formaggio ed eventualmente aggiungendo un po’ d’acqua di cottura.

Macinate un po’ dei grani di pepe e aggiungete a fine cottura (non saranno necessari più di due tre minuti).

A cottura ultimata aggiungete una parte dei fiori di gelsomino (o le gocce d’essenza) e preparate i piatti guarnendoli con un cucchiaio di yogurt, qualche chicco di pepe, i residui fiori di gelsomino e una fettina di formaggio.

Va da sé che l’accoppiamento d’obbligo è con il Gewürztraminer.

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Il Gastronomo educato: “Risotto con crema di porri e culatello di zibello”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-risotto-con-crema-di-porri-e-culatello-di-zibello/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-risotto-con-crema-di-porri-e-culatello-di-zibello/#respond Wed, 11 Mar 2015 12:07:40 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=28986 Penso si possa affermare, senza tema d’errore, che non esiste paese nel quale il riso è preparato in una tale ampia gamma di modi come in Italia...

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 Risotto con crema di porri, pepe nero e culatello di zibello

Penso si possa affermare, senza tema d’errore, che non esiste paese nel quale il riso è preparato in una tale ampia gamma di modi come in Italia.

Persino nei paesi dove il riso costituisce l’alimento principale della dieta, come quelli dell’estremo oriente, i modi di preparazione sono piuttosto limitati.

In Italia si contano almeno a centinaia, ma io le ho scoperte in età adulta.

Non che non ce ne fossero anche nella mia famiglia. Basta ricordare gli arancini di riso, o il risotto con la salsiccia, o con i piselli e lo zafferano.

Ma il fatto è che nei ricordi della mia infanzia questo alimento è associato ad una preparazione particolarmente nefanda: il riso in brodo di carne. Nefanda non tanto per il sapore, che era grasso e poco rotondo, quanto per l’associazione alla quale si abbinava: la pulizia dell’intestino, in altre parole la somministrazione del purgante, pratica (erroneamente) consigliata dai medici e alla quale venivamo sottoposti in famiglia per un minimo di quattro volte l’anno, sempre di domenica.

Dapprima si praticò l’ingestione di olio di ricino, forse per smaltire le dosi che in gran quantità erano rimaste nelle farmacie dopo il crollo del regime fascista, poi si passò al solfato di magnesio (“a magnesia”), per finire alla Limonata Rogè (da cui il mio rifiuto, che tuttora persiste, per le limonate in bottiglia). In casa avevamo un bagno, ed eravamo in sei. Vi risparmio la descrizione delle sofferenze che caratterizzarono quelle quattro domeniche l’anno fino a quando, adolescente, non riuscii a sottrarmi a quella pratica barbara.

Da quel momento cominciai a scoprire il gusto e la bontà del riso e a farne grande uso, nelle più svariate forme.

E oggi, quando su quei ricordi lontani posso tornare sorridendo e con un po’ d’ironia, propongo una ricetta originale, in un duplice senso, perché non l’avevo mai provata prima, e perché la rubo a mia moglie Luisa che l’ha inventata per il Gastronomo educato.

Ingredienti per quattro persone

300 grammi di riso Vialone nano o Carnaroli

60 grammi di burro

4 porri di medie dimensioni

Un bicchiere di vino bianco secco

Parmigiano grattugiato q.b.

Brodo vegetale

Sale q.b.

12 fettine di culatello di zibello

pepe nero macinato al momento

Preparazione

Pulite e lavate i porri.

Tagliate la parte bianca, tritate in piccoli pezzi e adagiate in un tegame antiaderente, in cui cuocerete il riso, con 40 grammi di burro.

Fate stufare a fuoco lento, eventualmente aggiungendo dell’acqua.

Prendete poi la parte verde, eliminate le foglie più dure, tagliate a pezzetti e sbollentate in acqua lievemente salata fino a quando non sarà ben cotta.

Scolate e mettete nel bicchiere del frullatore a immersione. Quando la parte bianca dei porri sarà morbida, sfumate con un terzo del bicchiere di vino, fate evaporare e togliete un terzo che aggiungerete nel bicchiere del frullatore.

Frullate tutto fino a ottenere una crema omogenea.

Nel tegame con il resto dei porri fate tostare il riso, sfumate con il resto del vino, aggiungete il brodo vegetale e completate la cottura lasciando il riso al dente. Se necessario aggiustate di sale.

A fine cottura mantecate con i rimanenti 20 grammi di burro e parmigiano grattugiato.

Lasciate riposare per qualche minuto.

Servite nei piatti con una spolverata di pepe nero e accompagnando con la crema di porri e tre fettine di culatello di zibello.

 

 

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Il Gastronomo educato: Lunga vita al cavolfiore! https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-lunga-vita-al-cavolfiore/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-lunga-vita-al-cavolfiore/#respond Wed, 25 Feb 2015 16:51:59 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=28518 Sebbene il cavolo sia particolarmente disprezzato nel linguaggio comune, dai “c….tuoi” ai “c…. acidi o amari”, ai “cavoli a merenda”, va detto che si tratta di una verdura nobile di cui non starò qui a vantare le doti se non per ricordarne le amplissime varietà.

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Lunga vita al cavolfiore!

Sebbene il cavolo sia particolarmente disprezzato nel linguaggio comune, dai “c….tuoi” ai “c…. acidi o amari”, ai “cavoli a merenda”, va detto che si tratta di una verdura nobile di cui non starò qui a vantare le doti se non per ricordarne le amplissime varietà.

Il cavolo nero toscano, ingrediente principe per la ribollita, il cavolo verza, ottimo se stufato per accompagnare piatti a base di carne di maiale, il cavolo cappuccio bianco o violetto, e tante altre varietà, fra cui il cavolo rapa di color violetto che ricordo fin dall’infanzia.

Ci sono poi i cavolfiori, e tra questi il bianco, il verde romanesco a forma di cuspide, il violetto siciliano, caratteristico della Piana di Catania, e da ultimo apparso sui banchi dell’ortofrutta, il giallo pallido.

In famiglia noi – intendo i figli – ci lamentavano di dover mangiare sempre cavoli, prevalentemente, se non esclusivamente, quello violetto di Catania, preferito a quello bianco.

Da piccolo il cavolo mi appariva come un oggetto misterioso. Non tanto perché mi avessero raccontato che i bambini nascevano sotto i cavoli – da noi prevaleva l’idea che fossero portati dalla cicogna – quanto perché mi turbava che, a seguito della bollitura, il colore violetto spariva, per dar luogo a un bel verde.

Veniva, il cavolo, proposto in due versioni: lessato o “affucatu”, cioè stufato in tegame con olio, cipolla e vino rosso.

Da queste preparazioni di base si ricavavano poi delle varianti: la pasta condita con il cavolfiore “affucatu” e il formaggio, detta “pasta ‘ncaciata”, quella con il cavolfiore lessato al dente e saltato in padella con capperi, acciughe salate e olive, i cavoli “affucati” serviti come contorno, oppure cucinati in forma di tortino e sformati.

Gira e rigira però, “sempre cavoli erano”, secondo la nostra argomentazione, sia pure cavolfiori.

Così un giorno mia madre, che amava inventare piatti, sia pure nell’ambito della continuità con la tradizione, decise di farcelo provare crudo, in insalata. Propongo oggi quest’insalata, lievemente rivisitata, che possiede un elevato potere digestivo, e dunque costituisce un fine pasto ideale.

Per farla occorre un cavolfiore violetto di buone dimensioni, ma potete usare a vostro piacimento anche il bianco, o il verde romanesco, o anche una colorata combinazione dei tre tipi, tenendo presente che sia il bianco sia il violetto devono essere compatti e sodi (le due foto del violetto ne propongono uno compatto e sodo e uno che non lo è).

La ragione consiste nel fatto che affettandolo, deve sbriciolarsi il giusto, altrimenti diventa una pappetta.

Insieme con il cavolfiore servono poi: cento grammi di granella di mandorle, sale e pepe nero macinato al momento, olio extravergine di oliva e succo di limone.

A mio avviso il potere digestivo è dato dalla combinazione di questi ingredienti.

In particolare trovo che la sostituzione del limone con l’aceto, benché non sgradevole al gusto, elimini quel grado di acidità dato dal succo di limone, che conferisce a quest’insalata una particolare freschezza.

Dopo aver pulito e lavato il cavolfiore o i cavolfiori, affettate finemente e in piccoli pezzi la parte dei fiori e soltanto una piccola parte dei gambi, questi ultimi in maniera particolarmente sottile.

Dopo aver aggiunto la granella di mandorle, mescolate, aggiungendo il sale, e l’olio.

Lasciate riposare per un paio d’ore, quindi completate il condimento con il succo di limone spremuto al momento e con una spruzzata di pepe nero.

Ideale per completare una cena a base di carni di maiale, salsiccia, o spezzatini di carne.

 

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Il Gastronomo educato: “Risotto rosso con le verze”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-risotto-rosso-con-le-verze/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-risotto-rosso-con-le-verze/#respond Wed, 28 Jan 2015 07:10:22 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=27342 Fra qualche settimana sarà carnevale, una festa che fra le altre cose vede, nella nostra tradizione culturale, il trionfo dei cibi grassi, e in particolare...
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Risotto rosso con le verze

Fra qualche settimana sarà carnevale, una festa che fra le altre cose vede, nella nostra tradizione culturale, il trionfo dei cibi grassi, e in particolare del maiale.

Non a caso il martedì e il giovedì di carnevale sono qualificati con l’appellativo di grasso.

Nel pieno dell’inverno, e in previsione del periodo del digiuno quaresimale, il maiale forniva calorie, e anche piacevolezze di gusto che sarebbero state poi tabù per i quaranta giorni successivi fino alla Pasqua.

È dunque necessario prepararsi all’evento, e per farlo suggerisco una via graduale, una sorta – per così dire – di “approssimazione al porco”.

Per questo motivo propongo oggi una ricetta di risotto con le verze, che combina, nel solco di piatti tradizionali italiani, come la lombarda “Cassoeula” o franco-tedeschi, come la “Choucroute alsaziana”, il maiale, di solito nelle sue parti più povere, con carboidrati e verdure.

La verza è una verdura che appartiene alla stessa famiglia dei broccoli, e dei cavoli, tutte ricche di sali minerali, povere di calorie e di grassi, e con potenti funzioni antiossidanti.

Le stesse caratteristiche hanno le rape rosse, che saranno utilizzate per dare colore e guarnire.

La combinazione con il riso e con il maiale dà luogo a un piatto che da solo costituisce un pasto in quanto fornisce le calorie necessarie.

È opportuno però che sia preparato in modo da eliminare il grasso in eccesso del maiale.

Ingredienti per quattro persone

300 grammi di riso vialone nano, carnaroli o arborio

4 etti di verza tagliata a listarelle sottili

1 etto di pancetta di maiale fresca, tagliata a listarelle, e poi a pezzettini

1 cipolla grossa e rossa tritata finemente

1 mela Granny Smith (o comunque a pasta croccante e sapore lievemente acidulo) tagliata a pezzetti

1 rapa rossa precotta e frullata

1 bicchiere di vino rosso (Merlot, Cabernet Sauvignon, etc.). Io uso il Cerasuolo di Vittoria

un pizzico di pepe nero macinato all’istante

50 grammi di parmigiano reggiano o di grana padano grattugiato

brodo vegetale salato q.b.

foglie di salvia

Preparazione

Avrete notato che non ho indicato fra gli ingredienti né olio né burro, non per dimenticanza, ma perché il grasso della pancetta è già più che sufficiente a fornire l’apporto di grassi, anzi dovrà essere ulteriormente ridotto.

In un tegame antiaderente in cui farete cuocere il riso, sgrassate la pancetta con acqua, in modo che arrivando a ebollizione il grasso si sciolga.

Fate asciugare l’acqua e togliete la pancetta.

Dimezzate il grasso rimasto, riponete la pancetta con le verze e fate stufare a fuoco lento e pentola coperta, aggiungendo di tanto in tanto fino a due terzi del bicchiere di vino ed eventualmente dell’acqua.

Quando le verze saranno tenere, aggiungete la mela a dadini e fate rosolare per qualche minuto.

Versate il riso e fatelo tostare, aggiungendo poi una parte del frullato di rape (tenete l’altra parte per la guarnizione dei piatti) e il resto del vino.

Fate sfumare e aggiungete il brodo vegetale, rimestando per evitare che il riso si attacchi.

Tenete il riso al dente, e a fine cottura aggiungete il pepe nero e il parmigiano o grana.

Mantecate e lasciate riposare per qualche minuto.

Servite guarnendo con foglie di salvia e una quenelle di crema di rape rosse.

 

 

T

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Il Gastronomo educato: oggi “Farfalle con guanciale e zucchine”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-farfalle-con-guanciale-e-zucchine/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-farfalle-con-guanciale-e-zucchine/#comments Wed, 05 Nov 2014 08:25:52 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=24953 Una ricetta per chi deve preparare velocemente un piatto che contenga tutti i nutrienti di un pasto completo.

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Farfalle con guanciale e zucchine

La ricetta dei calamari ripieni accompagnati da macco di fave fresche ha riscosso un notevole apprezzamento fra i lettori, ma non è stata esente da qualche critica.

Una in particolare faceva riferimento alla complessità della preparazione per il dispendio di tempo.

Per venire incontro dunque alle esigenze di chi magari deve preparare velocemente un piatto che contenga tutti i nutrienti di un pasto, sospendo temporaneamente il tema del connubio tra legumi e mare e propongo una ricetta di pasta veloce e gustosa, il cui tempo di preparazione non supera i 25 minuti.

Ingredienti per 4 persone

100 grammi di guanciale di maiale
4 cipolline fresche oppure due scalogni o un porro
4 zucchine chiare
50 grammi di burro
mezzo bicchiere di vino bianco secco
50 grammi di parmigiano o grana grattugiato
sale e pepe nero macinato q.b.
300 grammi di pasta corta, preferibilmente farfalle

Mettete sul fuoco l’acqua per la pasta e nel frattempo preparate il condimento.

In una capiente padella antiaderente, nella quale salterete la pasta, ponete le cipolline (o scalogni o porro) finemente tritati con il burro e un po’ d’acqua e lasciate ammorbidire.

Tagliate il guanciale in fettine di 2-3 millimetri di spessore, poi a striscioline di uguale spessore e infine ricavatene dei cubetti.

Aggiungete il guanciale quando l’acqua si sarà parzialmente asciugata e fate cuocere per qualche minuto a fuoco lento in modo che rilasci parte del grasso.

Intanto tagliate le zucchine in quattro parti per il lungo, e dopo, a fettine sottili.

Fate soffriggere il guanciale per qualche minuto fino a quando l’acqua si sarà asciugata, ma lasciandolo morbido, quindi aggiungete le zucchine e salatele subito (ma non troppo) per evitare che si spappolino.

Rimescolate delicatamente, alzate il fuoco e fate soffriggere allegramente aggiungendo il vino bianco alla fine per sfumare.

Aggiungete del pepe nero macinato, se lo gradite e se quello contenuto nel guanciale non vi sembra sufficiente.

Cuocete la pasta aggiungendo poco sale alla fine per mantenerla al dente, scolate e saltate in padella con il condimento.

Servite aggiungendo il parmigiano o grana.

 

Qui le ricette precedenti:

Calamari ripieni con macco e finocchietto

Tagliata di controfiletto con funghi porcini

Alalunga con sesamo, zenzero e semi di papavero

Un matrimonio fra Nettuno e Cerere

Minestra di gamberetti e ceci

Tortino di baccalà e patate

Pasta con fegatelli e uova di pesce

Minestra di patate, riso e pesto

La marmellata di more

La marmellata di limoni

Nodini di aguglia imperiale al burro curcuma e limone

Scorfani e scorfanotti

Trenette con le uova di polpo

Totani

Riso con gamberi al burro, zenzero e coriandolo

Gemelli con pesce spada e fiori di zucca allo zafferano

Tonno sott’olio

Minestra del viandante di mare

Calamari e patate con pesto di Gramignazzo

Farfalle ufali e patelle

Uova in guazzetto di telline

Tagliatelle verdi con salsa di masculini

Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano

Gnocchi con cozze e pesto di basilico

Paccheri all’agro di pesce con ricotta e bottarga

Cibreo alla crema di melograno

Il nero di seppia

È primavera tempo di seppie

L’aggrassatu

Uno sposalizio in bianco-rosso-nero

U sugu

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

Caponatina-di-primavera

Caponatine

Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

Trionfo di broccoli

Pasta ‘ncaciata

Sformato-di-pesce

Pizza-alla-catanese

Torta salata all’Acitana

 

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Il Gastronomo educato: oggi “Trenette con le uova di polpo”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-trenette-con-le-uova-di-polpo-2/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-trenette-con-le-uova-di-polpo-2/#comments Wed, 30 Jul 2014 11:32:33 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=22422 Un avviso è doveroso per chi legge questa ricetta.
Si tratta di un prodotto di nicchia.
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Un avviso è doveroso per chi legge questa ricetta.

Si tratta di un prodotto di nicchia.

È difficile procurarsi le uova di polpo, non tutti amano le uova di pesce o di cefalopode, non esistono molte ricette consolidate in materia.

Tuttavia, se vi capita di pescare un polpo di buone dimensioni, intorno ad un chilo e mezzo, o di comprarlo da un pescatore di fiducia, allora potete sperimentare come ho fatto ieri nel mio buen retiro di Salina.

Dico pescare o comprare da un pescatore perché condizione essenziale è che il polpo sia freschissimo, deve cioè reagire muovendosi vistosamente quando lo battete con un dito. Non solo: nel pulirlo, rivoltandogli la sacca dovete fare attenzione a non guastare o rompere le uova, o inquinarle con le altre interiora.

Preparazione

Le uova di polpo, attaccate ad un tegumento, si presentano di color paglierino chiaro e sono ricoperte da una sottile membrana.

Staccatele con il tegumento e ponetele in una scodella.

In un pentolino portate ad ebollizione poca acqua salata con una scorza di limone e fate cuocere le uova, rivoltandole con una forchetta in modo che il tegumento interno cui sono avvolte cuocia anch’esso. Non saranno necessari più di 3 minuti.

Togliete la scorza di limone e rimescolate a fuoco spento finché le uova non si saranno separate le une dalle altre, formando una massa densa e lattiginosa con l’acqua di cottura.

Preparate un trito con uno spicchio d’aglio, un abbondante ciuffetto di prezzemolo e un’idea di finocchietto selvatico.

Sciogliete in padella un’abbondante noce di burro e fate rosolare il trito a fuoco lento, facendo attenzione a non tostare l’aglio e soprattutto il prezzemolo. Eventualmente aiutatevi aggiungendo un po’ d’acqua.

Quando il trito comincia a soffriggere, stemperate con mezzo bicchiere di malvasia bianco secco (o altro vino bianco secco ma con retrogusto aromatico) e lasciate sfumare il vino.

Aggiungete poi le uova di polpo con la loro acqua di cottura.

Fate cuocere per 3 minuti, aggiustate di sale e utilizzate per condire le trenette. La salsa si presenterà come nella foto sotto.

È un piatto dal sapore molto delicato e con un sottile profumo di mare.

 

 

Qui le ricette precedenti:

Totani

Riso con gamberi al burro, zenzero e coriandolo

Gemelli con pesce spada e fiori di zucca allo zafferano

Tonno sott’olio

Minestra del viandante di mare

Calamari e patate con pesto di Gramignazzo

Farfalle ufali e patelle

Uova in guazzetto di telline

Tagliatelle verdi con salsa di masculini

Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano

Gnocchi con cozze e pesto di basilico

Paccheri all’agro di pesce con ricotta e bottarga

Cibreo alla crema di melograno

Il nero di seppia

È primavera tempo di seppie

L’aggrassatu

Uno sposalizio in bianco-rosso-nero

U sugu

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

Caponatina-di-primavera

Caponatine

Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

Trionfo di broccoli

Pasta ‘ncaciata

Sformato-di-pesce

Pizza-alla-catanese

Torta salata all’Acitana

 

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Il Gastronomo educato: oggi “Farfalle, ufali e patelle”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-farfalle-ufali-e-patelle/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-farfalle-ufali-e-patelle/#comments Wed, 04 Jun 2014 14:31:46 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=20774 Scoprite la particolarità di questa ricetta nata durante una passeggiata al porto di Malfa, Salina.

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Farfalle, ufali e patelle

Il titolo della ricetta di oggi non tragga in inganno.
Le farfalle sono un formato di pasta, le patelle sono molluschi che si trovano sulle pietre e sugli scogli del bagnasciuga, e gli ufali non sono oggetti volanti non identificati, ma il nome eoliano (o, forse meglio, salinaro) delle lumachine di mare.

È una ricetta che ho pensato al porticciolo di Malfa, nell’isola di Salina, un giorno che non si pescava nulla da riva. Passeggiando sugli scogli e sulle pietre del litorale ho trovato molte patelle e molte lumachine, le ho staccate con il coltello, le ho riposte in un recipiente pieno di acqua di mare e le ho portate a casa.

Un mio amico mi disse che nella sua famiglia si usava fare la paste con gli ufali, un piatto povero il cui condimento era in pratica soltanto sapore di mare, vista la piccola dimensione delle lumachine e la difficoltà di raccoglierne tante. Aggiungere le patelle serve a rendere un po’ più consistente il condimento, ma sempre di piatto povero si tratta, anche se patelle e lumachine si possono trovare in pescheria.

Certo non è un piatto così povero come “a gnotta ‘i cocci”, zuppa di sassi di mari, di cui raccontano Danilo Baroncini e Susan Lord in “Pani caliatu” un libro sulle tradizioni gastronomiche delle Eolie, e che ha un interessante riferimento letterario in un episodio narrato da Garcia Marquez in “Nessuno scrive al colonnello”, dove la moglie di un colonnello a riposo, in attesa di un pensione che non arriverà mai, mette a cuocere dei sassi in pentola per dimostrare ai vicini che la famiglia ha ancora qualcosa da mangiare. Infatti la zuppa di sassi di mare era fatta con sassi di mare ricoperti di alghe verdi che si facevano soffriggere con olio in un battuto di cipolla e pomodorini. Si aggiungeva poi un po’ di acqua calda, e dopo che il brodo aveva preso sapore e profumo di mare si toglievano i sassi e si versava tutto sul “pane caliatu”, cioè biscottato.

Ingredienti per 4 persone

300 grammi di farfalle di grano duro
“ufali” (lumachine di mare) e patelle in quantità adeguata
6 pomodori rossi ben maturi privati dei semi e della buccia e tagliati a pezzetti
1 cipolla rossa
1 spicchio d’aglio
1 mazzetto di prezzemolo
mezzo bicchiere di vino bianco secco
6 cucchiai di olio extra vergine d’oliva
sale q.b.

Preparazione

In un’ampia padella antiaderente fate imbiondire nell’olio d’oliva la cipolla finemente tritata, poi aggiungete ufali e patelle che avrete tenuto in acqua di mare per farli spurgare se da voi raccolti, o in acqua e sale cambiata due o tre volte e sciacquate in acqua corrente se acquistati.

Fateli insaporire, poi sfumate con il vino bianco e successivamente aggiungete i filetti di pomodoro.

Fate cuocere a fuoco sostenuto per 5 minuti, ed eventualmente aggiustate di sale.

Nel frattempo cuocete la pasta tenendola al dente e salatela non troppo e soltanto a fine cottura.

Quando il sugo sarà pronto aggiungete l’aglio e metà del prezzemolo finemente tritati.

Saltate in padella e servite nei piatti guarnendo con l’altra metà di prezzemolo tritato.

Qui le ricette precedenti

Uova in guazzetto di telline

Tagliatelle verdi con salsa di masculini

Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano

Gnocchi con cozze e pesto di basilico

Paccheri all’agro di pesce con ricotta e bottarga

Cibreo alla crema di melograno

Il nero di seppia

È primavera tempo di seppie

L’aggrassatu

Uno sposalizio in bianco-rosso-nero

U sugu

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

Caponatina-di-primavera

Caponatine

Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

Trionfo di broccoli

Pasta ‘ncaciata

Sformato-di-pesce

Pizza-alla-catanese

Torta salata all’Acitana<

 

 

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Il Gastronomo educato: Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-tortino-di-pesce-spatola-e-patate-con-pesto-eoliano/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-tortino-di-pesce-spatola-e-patate-con-pesto-eoliano/#comments Wed, 14 May 2014 09:50:40 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=20308 Un piatto a base di ingredienti economicamente accessibili e facili da trovare, a parte forse i pregiati capperi di Salina, ma che regala indimenticabili sensazioni di mare e di estate.

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Tortino di pesce spatola e patate con pesto eoliano

Se dovessimo attribuire a ciascuna area geografica del nostro paese un’associazione con un pesce, non c’è dubbio che a Messina e nella sua provincia, comprese le isole Eolie, uno dei più forti candidati, insieme al pesce spada e alle costardelle, sarebbe lo spatola, pesce dalla carne bianca e finissima, che si presta ad una varietà di preparazioni.

Si può acquistare ancora a prezzi relativamente bassi sui mercati di tutt’Italia, dove viene conosciuto con il suo nome italiano di pesce sciabola, e se ne può fare frittura, cottura in umido, al forno impanato con pangrattato e un trito di aglio e prezzemolo.

A Messina e nella sua provincia si preparano i classici involtini in cui lo spatola sostituisce degnamente, e a prezzi più accessibili, il pesce spada, perché è un pesce dotato di poche lische e che si può facilmente sfilettare.

La ricetta che vi propongo oggi non la traggo dalla mia tradizione familiare (non ricordo che a casa mia si mangiasse lo spatola), ma dalla mia esperienza alle isole Eolie, dove, osservando la sfilettatura dello spatola nella pescheria in cui mi servo, quando non mangio il pesce da me pescato, ho imparato anch’io come si fa a sfilettarlo.

Ingredienti per 10 persone

1 kg di filetti di pesce spatola

500 grammi di patate tagliate a fette sottili

4 spicchi d’aglio

4 cipolle fresche di Tropea

2 etti di prezzemolo

100 grammi di capperi grossi di Salina ben dissalati

50 grammi di pomodori secchi

100 grammi di mandorle di Avola

100 grammi di polpa di pomodoro fresco

50 grammi di pangrattato tostato

olio extra vergine d’oliva q.b.

sale marino fino

Preparazione

Ungete con un po’ d’olio una teglia antiaderente rettangolare e cospargetevi in modo uniforme, anche sui bordi, il pangrattato.

Dissalate i capperi ponendoli in una pentola con molta acqua fredda.

Portate a ebollizione e spegnete subito, lasciate raffreddare, poi sciacquate più volte in acqua fredda. In tal modo i capperi non sanno più di sale.

Dissalate i pomodori secchi portando a ebollizione abbondante acqua.

Versate i pomodori, spegnate e lasciateli per qualche minuto nell’acqua calda, fino a quando saranno diventati morbidi, poi metteteli a scolare.

Pulite e lavate il prezzemolo, tagliatelo a pezzetti, pulite cipolle e aglio e mettete questi ingredienti nel frullatore insieme con i capperi, le mandorle e i pomodori secchi e la polpa di pomodoro fresco.

Aggiungete dell’olio d’oliva e frullate fino ad ottenere un pesto omogeneo e non troppo denso.

Assaggiate e verificate che non sia salato, in tal modo potrete salare il pesce e le patate, ma senza esagerare, perché il risultato deve avere un equilibrio fra il sapore forte del pesto, quello delicato del pesce e quello neutro delle patate.

Nella teglia o pirofila da forno ponete a strati i filetti di spatola con poco sale finemente distribuito, poi qualche cucchiaiata di pesto e le patate, poi ancora pesto, spatola, e così via.

Finite ricoprendo con il pesto e un’ulteriore manciata di mandorle e mettete in forno per 15 minuti a 180 gradi ventilando solo alla fine per rendere croccante la crosta.

 

 

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Il Gastronomo educato: oggi “Gnocchi con cozze e pesto di basilico”. https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-gnocchi-con-cozze-e-pesto-di-basilico/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-oggi-gnocchi-con-cozze-e-pesto-di-basilico/#comments Tue, 06 May 2014 21:00:20 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=20164 Il viaggio fra i ricordi delle serate fine anni '50 ad Acitrezza, quando le cozze si mangiavano crude, conduce il nostro chef per passione a proporci questa gustosissima e originale ricetta.

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Gnocchi di patate con cozze e pesto di basilico

Il primo piatto che vi propongo oggi non fa parte della tradizione catanese, ma è un tipico piatto della cucina mediterranea.

Il pesto di basilico alla genovese è un condimento ideale per molti piatti di pesce, soprattutto di pesce azzurro, e in quanto alle cozze ogni commento sarebbe superfluo. Un tempo si mangiavano crude, ricordo che con i miei compagni di liceo, alla fine degli anni cinquanta, si andava, di solito il sabato sera, ad Acitrezza.

Ciascuno di noi consumava un chilo di cozze crude. Il venditore le apriva e resecava con il coltello, ti dava mezzo limone da spremere e ad una ad una si gustava il sapore del mare. Poi si entrava al ristorante e di solito si consumava un risotto di pesce o un primo piatto sempre con sugo di pesce.

Talvolta invece si optava per l’insalata di mare. Inarrivabile quella che veniva preparata calda e sul momento da Don Carmelo, se eri abbastanza fortunato da trovare posto nella sua minuscola trattoria, e che conteneva anche gli occhi di bue (orecchia di San Pietro, Abalone in inglese, Ormeau in francese) oggi ormai introvabili.
In quel caso si saliva di nuovo in macchina e si andava a Santa Maria la Scala.

La serata poi si concludeva con un gelato in piazza ad Acireale. Poi venne l’inquinamento, il colera, e si smise di mangiare le cozze crude.

Ingredienti per 8 persone

Per gli gnocchi

1 kg di patate farinose

200 grammi di farina

1 uovo

sale q.b.

Preparazione

Lessate le patate senza sbucciarle.

Sgocciolatele, pelatele ancora calde e passatele allo schiacciapatate.

Amalgamate con la farina, l’uovo intero sbattuto e un pizzico di sale.

In una spianatoia ponete la farina a fontana, fate un buco in mezzo, versate l’uovo e le patate e impastate velocemente formando un composto sodo che non si attacchi alle mani. Prendendone poco alla volta formate dei piccoli filoncini, tagliateli in tanti pezzetti della lunghezza di circa 2 centimetri e fateli rotolare su una grattugia pressandoli lievemente. Acquisteranno così una rigatura che farà aderire il condimento nel modo migliore.

Poneteli a riposare in modo che acquistino compattezza e che la superficie si asciughi formando una leggera crosta che ne faciliterà la cottura senza sfaldarsi.

Per il pesto alla genovese

100 grammi di basilico a foglia piccola

2 cucchiai di pecorino grattugiato

2 cucchiai di parmigiano grattugiato

2 spicchi d’aglio

50 grammi di pinoli

1 bicchiere d’olio extra vergine d’oliva dal gusto delicato

qualche grano di sale grosso

Preparazione

Le foglie del basilico andrebbero pulite con un panno umido, ma se sono troppo sporche consigliamo di lavarle e di asciugarle ben bene, altrimenti il pesto si ossida facilmente. Inoltre il pesto va preparato nel mortaio, pestando delicatamente gli ingredienti e aggiungendo a poco a poco il basilico e l’olio.

Se volete fare più in fretta e prepararlo nel frullatore consigliamo lo stesso ordine: prima frullate gli altri ingredienti, poi aggiungere a poco a poco olio e basilico. Se il composto risulta troppo denso, non aggiungete olio, semmai lo allungherete con un po’ d’acqua di cottura.

Per il sugo di cozze

1 kg di cozze

2 spicchi d’aglio

50 grammi di prezzemolo

2 cucchiai di olio d’oliva

Preparazione

In un tegame largo disponete l’olio, l’aglio tritato e il prezzemolo.

Fate soffriggere appena un po’ quindi aggiungete le cozze pulite, coprite con un coperchio a fate cuocere solo fino a quando le cozze si saranno aperte.

Togliete le cozze e ponete e sgusciatele, tenendone da parte 2-3 per guarnire ciascun piatto.

Filtrate il brodo di cottura e ponetelo in una scodella.

Cottura e presentazione del piatto

In una pentola molto grande mettete a bollire dell’acqua con pochissimo sale, aggiungete gli gnocchi e fateli cuocere fin quando non verranno a galla.

Condite in ciascun piatto con il pesto e le cozze sgusciate, aggiungete un po’ di brodo di cottura delle cozze e guarnite con 2-3 cozze con i loro gusci e qualche foglia di basilico.

 

Qui le ricette precedenti

Paccheri all’agro di pesce con ricotta e bottarga

Cibreo alla crema di melograno

Il nero di seppia

È primavera tempo di seppie

L’aggrassatu

Uno sposalizio in bianco-rosso-nero

U sugu

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

Caponatina-di-primavera

Caponatine

Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

Trionfo di broccoli

Pasta ‘ncaciata

Sformato-di-pesce

Pizza-alla-catanese

Torta salata all’Acitana<

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Il gastronomo educato: È primavera, tempo di…. seppie! https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-e-primavera-tempo-di-seppie/ https://www.cataniapubblica.tv/il-gastronomo-educato-e-primavera-tempo-di-seppie/#comments Wed, 09 Apr 2014 09:51:30 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=19754 Un piatto unico "di stagione" per parlarvi del quale il nostro cuoco d'eccezione vi porta con sé alle Isole Eolie.

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Copertina Gastronomo

Primavera, tempo di…. seppie!

Oggi facciamo cucina di mare, e magari alcuni fra i lettori di questa rubrica, soprattutto se giovani, si stupiranno per il titolo.
Certo, le seppie si trovano lungo tutto l’arco dell’anno, e se non le hai fresche (si fa per dire perché spesso provengono dall’Atlantico) sicuramente le trovi congelate. Ma quando la pesca d’altura non era così dannatamente diffusa, con effetti distruttivi sull’habitat marino, anche per il pesce e i prodotti del mare valeva la regola sovrana degli ortaggi e delle verdure: ad ogni prodotto la sua stagione (o viceversa?).
Tuttavia ancora oggi esistono dei luoghi dove il processo di globalizzazione non si è spinto a tal punto da consentire una gamma di scelte illimitate lungo tutto il corso dell’anno.
Quando vivevo ancora nella mia famiglia d’origine le seppie si mangiavano in primavera, e ad esempio nelle isole Eolie, dove mi trovo mentre scrivo questa ricetta, le seppie si pescano e si mangiano per un periodo variabile che va dalla metà di febbraio alla metà di maggio (secondo la temperatura del mare e l’inizio effettivo della primavera). C’è una ragione: la gran parte delle barche delle Isole Eolie non sono attrezzate per la pesca d’altura, perché non ci sono porti abbastanza capienti da ricoverare natanti di grandi dimensioni. Quando si pesca con barche piccole non ci si può allontanare troppo da riva e quindi le seppie si possono prendere soltanto quando accostano a riva per riprodursi e depositare le uova, in primavera per l’appunto.

Le seppie si possono cucinare in modi svariati: fritte, in umido con cipolla e piselli, alla brace condite con olio, aglio, prezzemolo e limone. Con le sacche del nero si fa il sugo al nero di seppia (ricetta che costituirà oggetto della prossima puntata), e con alcune delle loro parti, purché freschissime, si fa uno splendido paté da spalmare sui crostini.
Ma quella che vi propongo oggi è ancora una volta una ricetta della mia tradizione familiare: un piatto unico di seppie con cipolle, patate e vino rosso.

Ingredienti per 8 persone

kg 1,5 di seppie

800 grammi di patate

400 grammi di cipolle rosse

5 cucchiai di olio extra vergine d’oliva

1 bicchiere di vino rosso

una confezione da 7 dl di passata di pomodoro siccagno di Sicilia

sale q.b. (poco e da aggiungere solo a fine cottura dopo avere assaggiato)

una manciata di grani di pepe nero chiusi dentro una garza

600 grammi di ricotta di pecora

Preparazione

Pulite le seppie (o fatele pulire dal vostro pescivendolo di fiducia; rimpiango il mio di Catania che, quando sono nella mia città natale, mi fa ancora questo servizio come atto di cortesia).

Separate la testa dalla sacca estraendo le interiora avendo cura di staccare delicatamente il tutto dall’osso per non rompere la sacca del nero che conserverete per preparare il sugo (prossima ricetta). Se le seppie sono fresche la sacca del nero con tutte le interiora viene fuori in un unico pezzo.

C’è un modo per capire se le seppie sono fresche: devono essere di color marrone scuro tendente al nero, gli occhi devono essere liquidi e sporgenti e la pelle che si trova sopra l’osso deve ritrarsi velocemente e decisamente quando con il dito indice poggiato sopra la tirate in una direzione (se il pescivendolo ve lo consente).

Ponete il nero con la sua sacca in una tazzina, avendo cura di separarlo dalla sacca del fiele di color verde, senza spaccarla (altrimenti buttate via il nero che non si potrà mangiare) e quando lo avrete fatto con tutte le sacche ricopritele con olio d’oliva e conservatele in frigo. Durano fino a 2 giorni.

Togliete poi la bocca, eventualmente facendo un’incisione intorno al becco per facilitarne l’uscita, e fra le interiora selezionate le sacche del lattume, che sono bianche, anche se ricoperte di un velo nero. In questa stagione, poiché le seppie sono animali evoluti e si riproducono da se, essendo ermafrodite, non è infrequente trovare insieme le sacche del lattume, tipiche del maschio, insieme alle uova, tipiche della femmina, nello stesso esemplare.

Tagliate poi gli occhi e sciacquate sotto acqua corrente.

Prendete la sacca e con un coltello a punta molto affilato incidete la pelle dal lato superiore, dove c’è l’osso di seppia (magari ascoltando qualcuno che recita Montale) e sciacquate anche quelli in abbondante acqua salata. Se le seppie sono fresche non è necessario spellarle, perché la pelle, non essendo rinsecchita, è tenera.

In una casseruola di dimensioni adeguate a contenere tutti gli ingredienti ponete a rosolare per poco tempo le cipolle finemente tritate con l’olio d’oliva.

Nel frattempo tagliate a pezzi le seppie e sciacquate nuovamente per evitare che abbiano residui di interiora e soprattutto di sabbia.

Versate le seppie nella casseruola e fate andare a fuoco deciso rimescolandole, per una decina di minuti. Le seppie tendono, come calamari e totani, a rilasciare molta acqua.

Quando l’acqua si sarà un po’ asciugata aggiungete il vino, fatelo parzialmente sfumare, quindi la passata di pomodoro e la garza con dentro i grani di pepe nero, e fate cuocere per altri 20 minuti controllando che il liquido di cottura non sia troppo liquido o troppo denso (tenete presente che dovrete aggiungervi ancora le patate).

Mentre le seppie cuociono pelate e affettate le patate in dischi di circa 3-4 millimetri, ponetele in un’ampia pirofila da microonde a strati, intervallando con una spruzzata d’acqua, qualche goccia d’olio e un pizzico di sale.

Ponete la pirofila nel microonde e fate cuocere per 5-6 minuti o fin quando non saranno quasi a fine cottura.

Togliete dal microonde e aggiungete nel tegame con le seppie finendo la cottura.

Assaggiate, e se la combinazione tra vino e pomodoro ha come risultato un sapore troppo acidulo, aggiungete dello zucchero e togliete il pepe.

Mentre patate e seppie finiscono di cuocere preparate la ricotta.

Amalgamatela con le fruste e un pizzico di latte e ponetela da parte. Servirà ad accompagnare, nella presentazione del piatto, le seppie con le patate che, avendo un sapore deciso, verranno stemperate dal gusto fresco della ricotta.

Servite calde e accompagnate con un incrocio tra Nero d’Avola e Cabernet Sauvignon.

Come antipasto preparate un piatto di cucina molecolare con le sacche del lattume (impropriamente chiamate uova. Non ho mai provato a mangiare le uova di seppia, ma prima o poi proverò).

Togliete le pellicine dalle sacche del lattume, sciacquatele in acqua e mettetele a bollire per 5 minuti in acqua lievemente salata don il succo di mezzo limone.

Scolatele, conditele con un trito di aglio, prezzemolo, olio extra vergine d’oliva e una spruzzata di succo di limone, e servitele in tavola.

Fidatevi, ho provato ieri sera sia le sacche di lattume che le seppie con patate, e stamattina mi son svegliato così pimpante da scrivere questa ricetta in pochi minuti! Buon appetito e alla prossima, con il nero di seppia.

Qui le ricette precedenti

L’aggrassatu

Uno sposalizio in bianco-rosso-nero

U sugu

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

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Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

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Cucina: il gastronomo educato vi mette tutti a tavola. Oggi “U sugu”. https://www.cataniapubblica.tv/cucina-il-gastronomo-educato-vi-mette-tutti-a-tavola-oggi-u-sugu/ https://www.cataniapubblica.tv/cucina-il-gastronomo-educato-vi-mette-tutti-a-tavola-oggi-u-sugu/#comments Wed, 19 Mar 2014 09:17:13 +0000 http://www.cataniapubblica.tv/?p=19200 Continua il nostro viaggio tra le ricette tradizionali catanesi stavolta condite da qualche riflessione filosofica sui termini dialettali.

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Copertina Gastronomo

“U sugu”

Qualcuno dei miei affezionati lettori mi ha fatto pervenire delle garbate critiche sul fatto che, durante le feste carnascialesche, avrei tralasciato di trattare i piatti tipici del Carnevale per soffermarmi sui carciofi.
Ed è stato persino insinuato ch’io non conosca il classico piatto catanese del giovedì grasso, vale a dire i “maccarruna a cincu purtusa co’ sugu” (maccheroni con cinque buchi al sugo di carne), un piatto tradizionale che, come diceva il mio giovane amico Salvo, si caratterizza per l’aspetto del condimento, il sugo appunto, che deve essere “niuro e lucidu” (nero e lucido, riferendosi al colore scuro dato dal concentrato di pomodoro e dal vino rosso e alla patina di grasso e olio che a fine cottura vi stagnava sopra conferendogli il caratteristico aspetto).

Faccio ammenda, anche se osservo che sarebbe stato troppo banale parlarne in occasione del carnevale, e vengo alla ricetta del sugo. A Catania i condimenti rossi della cucina tradizionale sono essenzialmente due: “a sarsa” (la salsa di pomodoro fresco con aglio e basilico, condimento d’elezione per la pasta cosiddetta alla “Norma”) e “u sugu”, che prevede vari tipi di carne cotti con cipolla e concentrato di pomodoro. Il termine catanese per il concentrato è “astrattu”, con una tipica apparente inversione di significato per un prodotto che riduce all’essenza il pomodoro, privandolo dell’acqua, salandolo e prosciugandolo. Ma “astrattu” non significa astratto, bensì estratto, allo stesso modo in cui a Catania l’essenza viene definita come “assenza”.
Come stava scritto nel famoso elenco degli ingredienti del gelataio catanese che vantava la presenza di vera frutta nel suo gelato di fragola, la composizione era: fragola e “assenza” di fragola. Cosicché, in termini filosofici, si potrebbe dire che a Catania la sostanza o quintessenza consiste nella sua assenza, ovvero che l’essere coincide con il nulla.

Ma veniamo adesso alla ricetta del sugo, un piatto per stomaci forti, pensato ai tempi in cui il duro lavoro manuale, soprattutto nei campi, richiedeva grandi quantità di energia, cibi ricchi di grassi e colesterolo, e che vi propongo in una versione per quanto possibile leggera e sgrassata.

Ingredienti per 12 persone

800 di carne di manzo per spezzatino

400 grammi di carne di maiale (spalla) tagliata a pezzetti per spezzatino

400 grammi di salsiccia di suino (con soltanto sale e pepe) di calibro grosso

olio d’oliva q.b.

concentrato di pomodoro o, in alternativa, passata di pomodoro siccagno di Sicilia

sale q.b.

zucchero q.b.

acqua q.b (se usate il concentrato)

un bicchiere di vino rosso (Nero d’Avola)

500 grammi di cipolle rosse di Tropea

se graditi, grani di pepe nero

caciocavallo ragusano stagionato grattugiato q.b.

Preparazione

In un ampio tegame antiaderente ponete a soffriggere con olio d’oliva la cipolla finemente tritata, fatela imbiondire e continuate a cuocerla a fuoco lento fin quando non sia ben morbida, eventualmente aggiungendo, di tanto in tanto, un po’ d’acqua.
Quando è sufficientemente morbida, toglietela con un ramaiolo facendo scolare l’olio nel tegame e ponetela in un piatto.
Ponete nel tegame la carne di manzo e di maiale tagliate a piccoli pezzetti, e fate rosolare ben bene la carne da tutti i lati, facendo asciugare il liquido che si produce durante la rosolatura.
Quando è ben rosolata toglietela dal tegame con un ramaiolo, scolandola ben bene dal grasso e dall’unto e ponetela nello stesso piatto con la cipolla. Togliete tutto l’olio dal tegame e ponetevi di nuovo cipolla e carne.
Fate rosolare insieme, e aggiungete il bicchiere di Nero d’Avola sfumandolo del tutto.
A questo punto aggiungete la passata di pomodoro siccagno (sconsiglio il concentrato se non l’avete fatto voi in casa. Quello che si trova in commercio, di produzione industriale, è in massima parte di dubbia provenienza. Se lo usate fatelo comunque soffriggere con la carne e la cipolla prima di sfumare con il vino, e successivamente aggiungete l’acqua). Se vi piace insaporirlo con il pepe, mettete i grani di pepe dentro una garza e chiudeteli legandola, e fateli cuocere per la prima ora di cottura o fino a quando il sugo di cottura sarà abbastanza liquido; poi toglieteli.
Fate cuocere fino a quando il sugo non avrà raggiunto la densità desiderata, considerando che la carne si deve sfaldare facilmente e contribuire così ad addensare il sugo.

Mentre il sugo cuoce, provvedete a sgrassare la salsiccia.
Ponetela in una padella che la contenga appena, aggiungete dell’acqua che arrivi a metà della sua altezza e fatela bollire.
Quando l’acqua si sarà ridotta alla metà, con uno stecco di legno da spiedino e avendo cura di proteggervi con un coperchio dagli schizzi, punzecchiatela in più punti, in modo da far fuoriuscire il grasso, poi giratela.
Ripetete la punzecchiatura anche da quest’altro verso e fate asciugare quasi del tutto l’acqua.
Toglietela dalla padella facendo scolare il grasso, tagliatela a pezzetti (e se vi riuscite togliete il budello) e aggiungetela al sugo negli ultimi 15 minuti di cottura.
A fine cottura aggiustate di sale, e, se il sugo è ancora acidulo, equilibratelo con un po’ di zucchero. Questa preparazione serve a togliere gran parte del grasso dal sugo (che sarà quindi sufficientemente “niuru”, ma non “lucidu” secondo i desiderata del mio giovane amico Salvo) e a rendere il tutto più digeribile.
Condite i maccheroni (se non trovate quelli a “cincu purtusa” utilizzate quelli di calibro grosso perché il condimento con carne e salsiccia possa entrarvi dentro, o in alternativa i paccheri) e aggiungete del caciocavallo ragusano grattugiato.

Con questo sugo si fa anche dell’ottima pasta al forno, ma sarà l’argomento della prossima puntata. Intanto buon appetito, ma se non volete infrangere i divieti della Quaresima, aspettate che arrivi Pasqua e mangiate di magro!

Qui le ricette precedenti

Tris di carciofi

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

Caponatina-di-primavera

Caponatine

Coniglio in agrodolce

Coniglio alla stimpirata

Pasta con la scarola

Trionfo di broccoli

Pasta ‘ncaciata

Sformato-di-pesce

Pizza-alla-catanese

Torta salata all’Acitana<

 

 

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Copertina Gastronomo

Tris di carciofi

Con quest’ultimo gruppo di ricette completiamo la nostra escursione nel campo dei carciofi e suggeriamo un modo di cucinarli, una modalità di conservazione e una combinazione con altre verdure di stagione. Tra gli innumerevoli modi di cucinarli suggerisco oggi:

1. Cuori di carciofi ripieni in tegame.

Ingredienti per 4 persone:

12 cuori di carciofi

1 etto di pangrattato atturratu

50 grammi di pecorino grattugiato

aglio, prezzemolo e cipolline fresche q.b.

olio d’oliva

sale

Preparazione:

Preparate i cuori di carciofi mondandoli, lasciando soltanto la parte tenera delle foglie e scavando con un coltellino la parte centrale in modo da creare un alloggiamento per il ripieno. Togliete anche la peluria che sta sotto le foglie centrali, di solito più tenere ma con piccole spine. Successivamente, con delicatezza, ampliate lo spazio tra ogni cerchio di foglie e quello più interno, in modo da creare un alloggiamento, sia pur sottile, per il ripieno.

Preparate il ripieno tritando aglio, cipolline fresche e abbondante prezzemolo, il tutto molto finemente. Amalgamate il trito con il pangrattato atturratu e il pecorino tritato, e aggiustate di sale. Riempite i cuori di carciofo quanto più possibile con il ripieno, sia nella loro parte centrale sia tra le file di foglie. Disponete i cuori di carciofo in un ampio tegame antiaderente, sufficiente alto da contenere i carciofi e da poter essere coperto dal coperchio senza toccarli. Per cuocere bene i carciofi devono aderire l’uno all’altro e stare in piedi durante la cottura. Disponete un filo d’olio, veramente poco, sopra ciascun carciofo e aggiungete 2 cucchiai d’olio e un po’ d’acqua sul fondo del tegame. Coprite e fate cuocere a fuoco lento fino a cottura completa, controllando spesso che non si attacchino sul fondo. Servite tiepidi, quando il formaggio si è ben amalgamato con il resto del ripieno ma non si è ancora rappreso.

2. Minestra primavera

Nella stagione primaverile i carciofi si abbinano bene ad altri due ortaggi eccellenti: fave fresche e piselli. Sono questi gli ingredienti principali della minestra primavera che può essere utilizzata come contorno, come antipasto o come condimento per pasta e riso.

Ingredienti per 4 persone:

4 cuori di carciofi

2 etti di piselli freschi sgusciati

2 etti di fave fresche sgusciate

abbondanti cipolline fresche

olio d’oliva e sale q. b.

Preparazione:

Tagliate i cuori di carciofi in spicchi, ricavandone 8 spicchi per ciascuno e togliendo la peluria interna. Tritate finemente la cipollina fresca. In un tegame antiaderente ponete una quantità sufficiente d’olio d’oliva, aggiungete gli ingredienti, salate e fate cuocere a fuoco lento coprendo con il coperchio. Gli ingredienti non devono friggere o soffriggere, ma lentamente stufarsi fino a diventare teneri. Controllate frequentemente che ci sia sufficiente acqua di cottura, ma fatela evaporare quando gli ingredienti cominciano a intenerirsi. Questa minestra deve essere asciutta e non brodosa e può essere consumata tale e quale o come condimento per pasta e riso bollito, aggiungendo parmigiano. Se posso permettermi una nota di famiglia, dirò che mio padre la amava anche come minestra brodosa da consumare calda la sera. In questo caso però va aggiunto un altro ingrediente, fondamentale per garantire un buon sonno per le sue proprietà naturali: la lattuga. Basta aggiungere in cottura delle foglie di lattuga e acqua quanto basta.

E infine la conservazione dei carciofi.

3. Carciofini sott’olio

Come tutte le conserve sott’olio anche i carciofi non sono particolarmente facili da preparare. Occorre un giusto equilibrio tra i conservanti e gli aromi che insaporiscono, non devono fermentare o inacidirsi, o dar luogo a spore o botulini. Occorre dunque la più scrupolosa igiene, la massima attenzione agli ingredienti e alla loro preparazione, e un’attenta procedura di conservazione. Il periodo migliore per la preparazione inizia adesso, quando i carciofi sono a buon mercato, si possono comprare in grandi quantità, spesso a mazzi, possibilmente piccoli e teneri. Poiché la preparazione richiede tempo e impegno, conviene farli non in piccole quantità, per economizzare sui tempi di preparazione. Per questo motivo non fornisco le dosi ma soltanto la preparazione.

Preparate degli spicchi di carciofi come per i carciofi a spezzatino o la minestra primavera, ma facendo particolare attenzione a che tutte le foglie siano tenere. Portare a ebollizione in una pentola tre parti di aceto bianco e una parte di acqua con una “manciata” di sale e tuffarvi i carciofi in maniera che siano completamente coperti dal liquido. Mescolarli per pochi minuti facendoli restare compatti e al dente (“citrigni”, come si dice a Catania).

Scolare i carciofi e porli ad asciugare in unico strato su un canovaccio girandoli più volte al giorno. Mia madre li assaggiava di tanto in tanto, e noi ben più di lei, cosicché si riducevano drammaticamente, facendola disperare.
Dopo circa due giorni, in dipendenza della umidità dell’ambiente (non devono essere secchi ma ben asciutti) disporli in vasetti (senza troppo pressarli), alternando carciofi e spezie varie rigorosamente asciutte (origano, peperoncino, rosmarino, timo, aglio a pezzi grossi) e coprirli interamente e abbondantemente di olio d’oliva non extravergine. Periodicamente controllare che l’olio non scenda sotto il livello dei carciofi, altrimenti fanno la muffa, ma non li aprite troppo spesso perché l’aria li ossida. Consumate prima quelli che avete aperto per rabboccare l’olio.
Vanno consumati non prima di 40-50 giorni per consentire all’olio di insaporirli e far perdere il sapore di aceto.
E un ringraziamento a mia cognata Anna che ha conservato la ricetta della mia mamma e mi ha consentito di riproporla.

Nota tecnica: in questa preparazione in particolare, più che in quella delle altre conserve (per esempio la marmellata) va prestata particolare attenzione alla sterilizzazione dei vasetti perché è questo che garantisce la conservazione senza deterioramento. Infatti per la marmellata la conservazione è garantita dal sottovuoto, mentre nel caso dei sott’olio, se non si vuole procedere alla bollitura successiva all’invasamento (che altera il sapore), la conservazione viene garantita da almeno 4 fattori: il giusto grado di eliminazione dell’acqua di cottura (attraverso l’asciugatura), la corretta proporzione di conservanti (in questo caso aceto e sale), e la sterilizzazione dei vasetti. Per quest’ultima procedo nel modo seguente. In una pentola capiente ponete i vasetti e riempiteli fin quasi al bordo di una soluzione d’acqua e succo di limone. Quindi copriteli con i coperchi, senza stringere troppo. Con la stessa soluzione portate il livello dell’acqua nella pentola fin sotto il collare dei vasetti. Portate ad ebollizione e fate bollire per 20 minuti a fuoco lento e costante. Spegnete e fate raffreddare. I vasetti andranno sotto vuoto, ma anche se non lo fanno saranno sterilizzati. Svuotateli dell’acqua e con dei canovacci freschi di lavaggio in lavatrice asciugate coperchi e vasetti avendo cura che non vi siano tracce d’umidità. Preparateli immediatamente prima di mettervi i carciofini e procedete subito con la chiusura.

Buon appetito dal gastronomo educato

Qui le ricette precedenti

Delizia di carciofi

Carciofi a spezzatino e in fricassea

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Caponatine

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Pasta con la scarola

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Pasta ‘ncaciata

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