di Elisa Catanzaro
Questa volta no. Stavolta non si può tacere l’assassinio, il femminicidio, l’omicidio di una ragazzina da parte di un suo quasi coetaneo. Questa volta, questo episodio non può lasciare muti.
È necessario parlare anche per esorcizzare l’orrore di una storia così cruenta da sembrare inventata.
La riflessione parte da un dato di fatto: quando un uomo adulto compie un atto di questo genere è forse più difficile che qualcuno a conoscenza della vicenda la denunci (sottovalutazione del caso, pudore a entrare nella vita di una coppia, indifferenza); e comunque quando qualcuno lo fa, fosse anche la donna stessa, il sistema di protezione che dovrebbe ergersi intorno a lei è spesso inesistente o inefficace.
Bene, o meglio male.
Quando però è un ragazzino a uccidere con modalità tanto scabrose (e un biasimo va sicuramente ad alcuni giornali che nel raccontare indulgevano in particolari raccapriccianti, che qui non voglio riportare per non dare loro maggiore forza, ma ci sarebbe da discutere anche su come alcuni media trattino i casi di cronaca) è ancora più difficile capire come sia potuto succedere.
Bisogna allora chiedersi come è possibile, che nessuno, NESSUNO, abbia intuito, sospettato, non dico cosa frullasse in mente a quel ragazzo, ma che fosse magari instabile, problematico, violento, aggressivo…
Pur non essendo psicologi, non è difficile affermare che un giovane sereno raramente da un giorno all’altro metterebbe in atto un piano così agghiacciante, senza che NESSUNO abbia anche solo minimamente un sospetto di cosa sia in grado di fare quell’uomo in potenza.
Qui oltre ai ragionamenti sul femminicidio come fatto culturale, su come alla base di tali episodi di violenza estrema vi sia un distorto rapporto tra i generi, di come la motivazione, (per lo meno evinta dalle prime dichiarazioni di ieri) sessuale abbia fatto scattare la furia omicida, c’è a mio parere da allargare la questione a temi più generali: come stiamo allevando le nuove generazioni? Che attenzione stiamo dando ai nostri figli?
Non voglio indulgere sul ragazzo in particolare, non so nulla di lui, della sua storia, della sua famiglia, e non voglio sull’onda della rabbia e dello sconcerto, aumentare la fila di chi spara per spararle, ipotesi o intuizioni varie.
Qui vorrei invece indurre una riflessione sulle responsabilità che gli adulti hanno nella crescita dei più giovani.
Quello che mi sconvolge è l’assoluta incapacità, constatata quotidianamente in vari aspetti della vita giornaliera, di insegnare ai bambini e ai ragazzi il senso del limite; l’incapacità di dir loro di no e quindi di sapergli far accettare un rimprovero, un rifiuto; l’incapacità di farli crescere forti e sicuri di se stessi, e consapevoli di non dover per forza omologarsi; l’incapacità di spiegare che se tutti gli altri alla sua età hanno già fatto sesso, non per forza deve essere così anche per lui/lei.
L’incapacità di insegnargli il rispetto, ma anche di accorgersi se nella sua mente in subbuglio di adolescente vi sia qualcosa che non va, un tarlo, una delusione, un’infelicità, una follia.
L’incapacità di dare attenzione.
Per far questo ci vuole tempo, ci vuole pazienza, ci vuole ascolto, ci vuole amore, ci vuole empatia.
Empatia che l’assassino non mostra mai nei confronti della sua vittima se no, non la ucciderebbe. Empatia che va sviluppata negli individui, a partire da quando sono bambini, a casa, a scuola, in palestra, in chiesa.
Ecco, non voglio e non potrei mai giustificare l’atto osceno compiuto da quel ragazzo, ma il fatto che a compierlo sia stato un minorenne ha spinto la mia riflessione a tirare in ballo, ancor più che per episodi analoghi occorsi a persone anagraficamente più grandi, le responsabilità degli adulti.
Lei avrebbe potuto essere nostra figlia, ma anche lui avrebbe potuto esserlo e forse se avesse avuto attorno un mondo più attento e meno indifferente, avremmo potuto salvare tutti e due.
Foto tratta dalla pagina Facebook Ferma il femminicidio https://www.facebook.com/Fermailfemminicidio